I talismani di buon auspicio – i “gatti della fortuna” giapponesi, gli scarabei egizi e tanti altri – sono souvenir densi di significato e simboli di speranza
Il trifoglio (shamrock) in Irlanda, il cavallo colorato dala in Svezia, il rospo dorato cinese, lo scarabeo egizio. Qualsiasi sia il modo in cui vengono usati – tenuti in mano, portati al collo oppure appesi vicino alla porta d’ingresso di casa – si ritiene che questi talismani o amuleti possano fornire una qualche “scorciatoia” verso un futuro migliore, e una protezione contro gli spiriti maligni o le forze oscure in generale.
Naturalmente, non ci sono prove che tali oggetti, che i viaggiatori comunemente si portano a casa come souvenir, funzionino davvero. Ma questi simboli culturali sono fonte di conoscenze e fascino. Alcuni di questi oggetti totemici trovano le loro origini nella fede (il Buddha nell’Asia sudorientale), altri derivano dalla tradizione (i geometrici amuleti colorati contro il malocchio appesi sopra le porte dei granai nelle comunità Amish degli Stati Uniti).
Ma tutti esprimono allo stesso tempo l’unicità del luogo a cui appartengono e l’universalità della natura umana. “Il fatto che siano presenti in ogni cultura e in ogni tempo dimostra quanto il concetto di fortuna e la superstizione siano radicati nel nostro DNA”, afferma Richard Wiseman, professore di psicologia presso la University of Hertfordshire e autore di Fattore Fortuna.
Simboli di sicurezza
In tempi di difficoltà o di dubbio, molti di noi si rivolgono a un portafortuna. “L’uomo diventa superstizioso quando deve affrontare l’incertezza delle sue prestazioni, come succede agli atleti o agli attori”, afferma Wiseman. “Viviamo in tempi molto incerti”, aggiunge. Quando le cose si fanno difficili, l’uomo cerca qualcosa che possa far sperare in giorni migliori. Le “zampe di coniglio” erano diffuse durante il periodo della Depressione, i piloti di caccia della Seconda guerra mondiale volavano spesso con dei dadi portafortuna.
Se provate a leggere le notizie di tutto il mondo, vedrete come ovunque si sia ricorsi a questi frammenti di speranza, durante la crisi causata dal coronavirus. In alcune parti dell’Indonesia, si fanno le tetek melek, maschere tradizionali realizzate con fronde di palma da cocco, che vengono appese sopra le porte per scongiurare i pericoli. Il presidente messicano Andréa Manuel López Obrador ha perfino brandito diversi suoi amuleti durante una conferenza stampa sulla pandemia, in primavera.
Le popolazioni del Messico e dell’America centrale da lungo tempo cercano conforto nei milagros (miracoli). Questi piccoli ciondoli di metallo presenti nelle chiese così come nei negozi di souvenir, spesso raffigurano parti del corpo o creature che hanno bisogno di essere guarite o hanno bisogno di un intervento divino. Il loro significato può variare dal letterale al figurato: il milagro di un braccio potrebbe essere utilizzato per guarire il gomito del tennista o per diventare più forti, un ciondolo raffigurante un cane potrebbe servire per mantenere in salute il nostro amico a quattro zampe.
Piccoli oggetti lucenti sono spesso incastonati in piccoli cuori sacri in legno o in metallo (corazón). Simboli diffusi sia di fede cattolica che di amore romantico, si dice che i cuori sacri proteggano chi li possiede da infarti o malattie cardiache. Nella coloniale San Miguel de Allende, nel Messico centrale, il corazón è il simbolo della città e allo stesso tempo un souvenir onnipresente da appendere al muro, venduto ricoperto di milagro, in versione découpage con l’effige di Frida Kahlo oppure fatto di stagno.
L’occhio di Allah e la mano di Fatima
Gli oggetti apotropaici, simboli che allontanano gli spiriti maligni, accompagnano l’uomo da migliaia di anni. Tra i più antichi troviamo l’occhio di Allah, quelle riproduzioni simboliche di un occhio al centro di cerchi bianchi e blu che troviamo in grandissima quantità nei bazar e nei suq delle regioni mediterranee e arabe. Si suppone che protegga dalla cattiva sorte, o meglio dal malocchio, un concetto che risale a circa 5.000 anni fa ai Sumeri della valle dell’Eufrate.
In Turchia e in altre parti del mondo islamico, quest’occhio “sbarrato” è ovunque, che ti fissa dalle ciotole, dai braccialetti e persino dagli zerbini. Decenni fa a Istanbul, ricordo di aver acquistato un ciondolo con l’occhio di Allah (nazar boncuğu) in porcellana blu. Lo vedevo come un bel ciondolo e al tempo ne ignoravo il vero significato. Che abbia reso il mio viaggio più sicuro?
Un altro antico amuleto della Via della Seta è la hamsa, che abbonda nei mercati dal Marocco a Israele. Questo grazioso palmo di mano, che gli ebrei chiamano Mano di Miriam e i musulmani Mano di Fatima, può essere realizzato in ottone, stagno, smalto e altri materiali. Può andare su collane, arazzi, battiporta, tazze da caffè e su candele intese per essere protettive.
“Molte di queste tradizioni e credenze non sono solo marocchine o musulmane o arabe, ma piuttosto universali. Seguono le vie dei commercianti, nel modo in cui le persone condividevano la cultura”, afferma Maryam Montague, collezionista e imprenditrice irano-americana di Marrakesh, in Marocco. Parlando via Zoom dal Peacock Pavilions, l’hotel che gestisce, mi mostra una serie di amuleti provenienti da Mali, Marocco, Afghanistan, e altri luoghi. Alcuni sono stati incorporati negli interni bohémien della sua proprietà, altri sono personali.
Gli amuleti possono anche essere astratti o avere forme meno riconoscibili, come ad esempio l’occhio di Allah rappresentato da motivi triangolari su un tappeto o da specchi di forma rotonda su un arazzo. Oppure, afferma Montague, una hamsa invece che come mano intera può essere resa come raggruppamento di figure che rappresentano le cinque dita: cinque punti dipinti su un piatto di vetro, cinque conchiglie cauri fissate su un amuleto di pelle. Montague mi ha aiutato a capire che una sciarpa che ho comprato in Afghanistan anni fa, ricoperta di paillettes, potrebbe avere più significati di quanto pensassi.
Prova a immergerti nell’arte popolare e nei manufatti di un Paese, afferma Montague, e vedrai quanti “strati di magia” ti circondano.
Creature portafortuna
In tutto il mondo si crede nelle creature di buon auspicio: gli elefanti portafortuna in Tailandia (che si trovano come souvenir sotto forma di borse, collane o magliette) i protettivi torito de pucará (tori di ceramica) che adornano molti tetti nel Perù rurale e in Bolivia.
Un giorno, se sarò abbastanza fortunata da visitare il Giappone, forse uno di quei piccoli “gatti della fortuna”, i maneki-neko, mi saluterà all’entrata di un ristorante o di un negozio. Sono pensati per attrarre i clienti e portare benessere e fortuna. A me sembra che il movimento della zampa sia un saluto di commiato, invece pare che nella cultura giapponese sia un cenno di richiamo.
Si trovano facilmente come souvenir, ma i veri amanti dei gatti possono immergersi nel mondo dei maneki-neko tra biscotti, tazze, scacciapensieri e portachiavi a forma di gatto. Invece, comprerò alcuni omamori, piccoli sacchetti in broccato di seta che contengono preghiere, venduti nei santuari shintoisti giapponesi e nei templi buddisti.
Atti di fede
In molti Paesi, si pensa che i rituali possano influenzare la fortuna. In Inghilterra, alcuni pronunciano la parola “coniglio” il primo giorno di ogni mese non appena svegli. I serbi potrebbero versare acqua dietro qualcuno durante un viaggio o un colloquio di lavoro. La vigilia di Capodanno, gli spagnoli indossano biancheria intima rossa e mangiano dodici chicchi d’uva allo scoccare della mezzanotte, presumibilmente come buon auspicio per 12 mesi di buona fortuna.
I miei amici spagnoli raccontano delle tecniche che usano per riuscire a mangiare i 12 chicchi in un baleno: preparandoli in anticipo, togliendo semi e buccia. Ho vissuto in Russia per anni, e i loro gesti scaramantici mi hanno un po’ contagiata. A volte mi ritrovo a bussare sul legno o a far finta di sputarmi sulla spalla. Qualsiasi gesto o amuleto appartenga a una cultura per invocare il bene e respingere il male, il suo potere sembra risiedere nella mente dell’osservatore.
“In una serie di esperimenti, i ricercatori hanno chiesto ai soggetti coinvolti di risolvere degli anagrammi, superare delle prove come andare in buca a golf, ecc., sia con che senza i loro portafortuna preferiti”, afferma Wiseman. “Le persone hanno ottenuto punteggi maggiori quando avevano con sé i propri amuleti. L’idea è che questi portafortuna riducano l’ansia e quindi favoriscano le prestazioni”.
Wiseman ha un oggetto portafortuna? La sua risposta sembra essere un po’ superstiziosa: “Ahimè, veramente no”, afferma “lo svantaggio di avere un portafortuna è che puoi diventare ansioso se lo perdi”. Ma un talismano può essere anche un ricordo tangibile di una cultura conosciuta, di un viaggio sognato, prima, durante e molto dopo che è stato vissuto.
In Marocco, poco prima della crisi del coronavirus, Montague è andata a Essaouira, città sulla costa, dove ha preso un antico anello berbero per suo figlio, che va all’università. Era una moneta d’argento tenuta da due piccole mani di metallo. Sebbene fosse più interessante che bello — ammaccato, pesante, graffiato e abbastanza consumato — il mercante che glielo ha venduto ha insistito sul fatto che avrebbe portato fortuna.
“Compriamo le cose esclusivamente per la loro bellezza piuttosto che per il loro scopo o significato”, afferma. Suo figlio, comunque, porta l’anello e le cose gli vanno molto bene: “ha preso il massimo dei voti agli esami!”.
Fonte: nationalgeographic.it
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