Rara moneta del Cinquecento, negli scavi archeologici di Playa Grande
Agli inizi del XVI secolo, nella colonia de La Española (attuale Repubblica
Dominicana),  circolava poca moneta e le transazioni commerciali erano
divenute complesse. Pressato dai coloni spagnoli, il Governatore Nicolás
de  Ovando chiese al Re Ferdinando d’Aragona di inviare dalla Spagna
nuove  monete con corso legale. Il sovrano decise di risolvere il problema.
Erano trascorsi solo pochi mesi dalla morte della moglie Isabella di
Castiglia  detta La Cattolica, che, il 15 aprile 1505, Re Ferdinando
ordinò alla Zecca di  Siviglia di coniare nuove monete d’argento e rame
da far circolare nell’isola.
Subito furono prodotte a Siviglia le prime nuove monete americane.
Furono inviati 500 mila pezzi da quattro, due e un Maravedí (moneta
spagnola dell’epoca), che dal 1505 circoleranno nel Nuovo Mondo e in
particolare nell’Isola La Española. Oggi, sono monete molto rare e di
grande valore, poiché si considerano le prime veramente americane,
con un’iconografia differente dai Maravedí spagnoli.
Ebbene, in uno strato archeologico risalente ai precedenti abitanti Taino,
abbiamo recuperato una moneta da due Maravedí  , ben conservata
e leggibile – una di quelle prime monete coniate a Siviglia nel 1505,
che più di cinque secoli viaggiarono fino a Santo Domingo, inaugurando
la storia della numismatica nel continente americano. Sulla moneta così
si legge. Faccia anteriore: + FERNANDVS : ET HELISABET : DEI –
attorno a un cerchio contenente il monogramma YF coronato,con
sotto una foglia di prezzemolo.
Faccia posteriore: + REX : ET : REGINA : CASTEILEGIO : ARAGO –
intorno a un cerchio contenente una F coronata, tra due S .
Ferdinando volle così continuare a onorare la memoria della
defunta Isabella, mantenendo sulla faccia anteriore il monogramma
della coppia reale (con l’iniziale dell’ex sposa), ma cambiando il lato
posteriore con l’inserimento della sola iniziale reale F coronata.
In questo modo, disegnò una nuova moneta mai prima coniata.
Come sia arrivata nelle mani degli indigeni Taino è un’altra storia…