Moda indiscussa che non sembra ridurre la propria portata anche a distanza di decenni, quella del tatuaggio è una vera e propria tradizione leggendaria ne Le Isole di Tahiti, dove il ‘tattoo’ rappresenta una forma di contatto con le proprie radici

Nella cultura polinesiana i tatuaggi sono stati per lungo tempo, e in parte lo sono ancora, considerati un elemento di bellezza, oltre ad essere spesso un simbolo importante per marcare i passaggi più significativi della vita di una persona.

La parola stessa “tattoo”, da cui anche “tatuaggio”, deriva proprio dal termine tahitiano “tatau”, che rappresenta il gesto di “picchiettare” sulla pelle incidendo dei segni indelebili sulla pelle. I miti e le leggende sulla nascita del tatuaggio sono molteplici, ma si rifanno tutti ad un dono fatto agli uomini da parte degli dei. Per questo motivo il tatuaggio è investito di un’aura di sacralità e della credenza che esso porti con sé poteri soprannaturali. Si pensava, ad esempio, che alcuni specifici disegni proteggessero l’uomo ed evitassero che perdesse il proprio Mana, l’essenza divina responsabile della sua salute, equilibrio e fertilità.

I tatuaggi, essendo indelebili, andavano oltre la vita terrena e avrebbero portato testimonianza dell’origine della persona anche nell’aldilà.

Nonostante quella del tatuaggio sia una tradizione ampiamente diffusa in tutte Le Isole di Tahiti, l’arcipelago che ha maggiormente fatto propria l’arte di decorare l’intero corpo con disegni geometrici anche molto ricchi e complessi è quello delle isole Marchesi, l’unico a prevedere anche la decorazione del viso.

Prima dell’arrivo degli Europei nelle isole, il tatuaggio costituiva un simbolo sociale molto significativo. Poteva infatti indicare la tribù o la famiglia di appartenenza, il livello della persona all’interno della scala sociale o un’indicazione della provenienza geografica. Esistevano alcuni disegni tipici per le diverse categorie sociali, tra cui principalmente quella dei celebranti religiosi, quella dei capi e quella dei guerrieri.

O ancora il tatuaggio poteva rappresentare alcuni momenti importanti della storia sociale dell’individuo, come il passaggio dall’infanzia alla pubertà, il matrimonio o la nascita di un figlio. O ancora, poteva rappresentare importanti eventi nella storia personale, come vittorie in guerra, riconoscimenti per buone doti nella caccia o nella pesca. Da ultimo, poteva trattarsi puramente di una decorazione per il proprio corpo.

Il tatuaggio era talmente diffuso e legato alla tradizione locale, da essere considerato quasi inaccettabile per un tahitiano non averne.

Gli antichi artisti polinesiani usavano una sorta di bisturi artigianale per incidere la pelle: un manico di legno con una punta che poteva essere il becco o l’artiglio di un uccello oppure il dente di un pescecane.

Le tinte erano scure, di colore nero tendente al verde o al marrone, e si ottenevano con carbone diluito in acqua o in olio. Per garantire la tenuta dell’inchiostro, la mistura veniva completata con zucchero di canna o succo di noce di cocco.

Il bisturi veniva battuto con un pezzo di legno, e provocava una serie di tagli sulla pelle che venivano subito coperti con una striscia di inchiostro. Questa pratica era abbastanza dolorosa, e completare un tatuaggio poteva richiedere giorni, mesi o addirittura anni.

Anche se le tecniche sono molto cambiate oggi, il tatuaggio rappresenta ancora una tradizione molto diffusa nelle isole ed è possibile trovare molte delle persone locali con disegni davvero molto particolari tatuati sul proprio corpo, oltre a tattoo shop, convention annuali ed eventi dedicati.