GRAND PALAIS, PARIGI – FINO AL 10 FEBBRAIO 2020. IL GRAND PALAIS DI PARIGI CONSACRA UNA VASTA RETROSPETTIVA AL GRECO. LA MOSTRA TRACCIA IL PERCORSO DEL MAESTRO, DALLE ORIGINI BIZANTINE FINO ALLA RILETTURA DELLA SUA OPERA IN CHIAVE MODERNA
Nel corso del tempo lo si è definito come mistico, folle, eretico o più banalmente come astigmatico, con l’intento di giustificare le forme eccessivamente allungate e le proporzioni antinaturalistiche nelle sue tele. Doménikos Theotokópoulos (Creta, 1541 ‒ Toledo, 1614), detto El Greco, è stato più semplicemente un “artista alieno” al suo contesto di appartenenza, che ha saputo creare un ponte tra il Rinascimento, l’arte moderna e le prime avanguardie del XX secolo. C’è qualcosa di incredibilmente contemporaneo, straniante, spiazzante e geniale nelle opere di questo artista, vissuto nella seconda metà del 1500, la cui vita, per molti versi oscura, resta avvolta nella leggenda. Lo storico tedesco Carl Justi nel 1888 descriveva la sua pittura come “lo specchio e il riassunto delle sue degenerazioni pittoriche. Prigioniero dei suoi sogni folli, il suo pennello sembra volerci svelare il segreto degli stravaganti incubi che egli produceva quando il suo cervello si surriscaldava”.
La grande retrospettiva francese, in scena al Grand Palais, permette, attraverso l’accostamento di circa 71 opere, di mettere in luce il lavoro dell’artista seguendone l’incredibile evoluzione, da Venezia a Toledo. Dagli esordi, nel solco della tradizione bizantina, fino alla piena indipendenza creativa, costituita da forme e temi innovativi accompagnati dalla libertà assoluta del colore.
La narrazione di questo cammino artistico avviene in uno spazio concepito come la navata di una cattedrale, opera della scenografa Véronique Dollfus, nel quale la luce ritma il passo del visitatore, attirato verso il centro dalla tela dell’Assunzione. L’opera funge da “altare” intorno al quale s’irradia lo spazio espositivo. Le pareti della vasta galleria sono state lasciate volontariamente bianche in modo da far risaltare i colori delle opere, che si presentano carichi, cangianti e, nei loro accostamenti puri, quasi elettrici.
EL GRECO E LA STORIA DELL’ARTE
Il ruolo di El Greco nella storia dell’arte rappresenta un unicum: egli ha infatti incarnato la doppia figura di ultimo grande maestro del Rinascimento e di fondatore della pittura del Secolo d’Oro spagnolo. L’artista riceve la sua base formativa nella tradizione iconografica bizantina, prima di perfezionarsi a Venezia e a Roma. In Italia, a partire dal 1567, adotta il colore veneziano fondendolo, in un primo momento, con la forza del disegno di Michelangelo. Sempre nella città lagunare, in merito al dibattito, in voga all’epoca, sul primato tra disegno e colore, si schierò a favore di quest’ultimo. Motivo per il quale i suoi disegni sono rarissimi (se ne contano circa sette), poiché rappresentano una pratica marginale nel suo processo creativo.
Una volta identificatosi con un proprio stile, frutto del colore di Tiziano, dell’audacia di Tintoretto e del carattere “eroico” di Michelangelo, El Greco si trasferisce in pianta stabile in Spagna, intorno al 1577, attirato dal cantiere dell’Escorial. In piena Controriforma, all’artista spetta il compito di innovare temi e iconografie per andare incontro alle nuove esigenze spirituali dei fedeli.
Dimenticato per circa un secolo, dopo la sua morte, il pittore gode poi di una riscoperta, a partire dalla fine del XIX secolo, epoca in cui viene riconosciuto e adottato come maestro dai nuovi artisti emergenti, in particolare dai romantici francesi. Ben presto El Greco diviene il simbolo della tradizione che nutre e ispira il linguaggio artistico moderno, creando una connessione tra Tiziano e i fauves, il Manierismo e il Cubismo, l’Espressionismo, il Vorticismo e l’astrazione, fino all’Action painting.
LE INFLUENZE
La retrospettiva acquista in Francia un doppio carico di significato, se si pensa all’influenza che l’artista ha avuto su Cézanne. I due sembra fossero accomunati anche da una natura indipendente e solitaria, da un carattere poco accomodante, dalla condivisione di una medesima concezione dello spazio e una predilezione per i toni rossastri dello sfondo. E, in maniera più in generale, El Greco è stato visto, grazie ai suoi quadri incompiuti, come un precursore del concetto di non finito che percorre l’arte moderna, in particolare tra Goya, Delacroix, Manet e Cézanne.
Nonostante l’uso violento del colore rappresenti uno dei tratti distintivi delle tele, l’esposizione si apre con la Santa Veronica, opera in cui predominano soprattutto il bianco e il nero. Questa scelta non lascia nulla al caso, perché in questo artista due soli colori bastano a scioccare l’osservatore, che resta sopraffatto da tale carica espressiva. L’effetto che l’opera ispira può essere riassunto dalle parole di Manet indirizzate al critico d’arte Zacharie Astruc: “Quante volte vi ho parlato di questo povero Greco. Non è vero che la sua opera sembra segnata da qualche orribile tristezza. Avete notato la stranezza dei suoi ritratti? Niente di più funebre. Li ordina con due gamme: il nero, il bianco. Il carattere ne è sorprendente”.
Parigi // fino al 10 febbraio 2020
GRAND PALAIS – 3, avenue du Général Eisenhower
Fonte: Artribune.com ‒ Arianna Piccolo
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