L’ICONICA MARRAKECH – LA CITTÀ ROSSA

2 Dic 2019 In: Marocco

La Città Rossa: il suo nome ci riporta al tempo in cui era una città imperiale del Marocco

Fondata nel XI secolo dalla dinastia almoravide, la città presenta una straordinaria architettura ispano-moresca e custodisce numerosi tesori artistici e incredibili giardini.

La medina, la città antica, rappresenta il cuore che anima Marrakech. All’interno delle sue mura si trovano i principali punti di interesse che rendono speciale e famosa questa città. I vicoli tortuosi ospitano il souk e svelano imponenti monumenti come il Palazzo Reale, la kasbah fortificata, il sontuoso palazzo El Bahia oltre alla magica piazza Jamaa el Fna.

La famosa piazza, con la sua miscela di colori e profumi, di giorno brulica di bancarelle, incantatori di serpenti, maghi, acrobati e venditori d’acqua, mentre di sera viene allestita con chioschi, tavoli e sedie dove poter gustare la prelibata cucina locale, preparata al momento, allietati da cantastorie e musicisti.

La moschea Koutoubia è la più grande della città, ma il suo iconico minareto del XII secolo è il protagonista indiscusso di Marrakech. Alto 69 metri, risale al periodo Almohade ed è rivestito da maioliche verdi e azzurre e da rilievi, stucchi e arabeschi diversi in ogni lato.

Immenso mercato coperto, il souk è il più grande del Marocco. Si distribuisce nelle stradine e nelle piccole piazze, con venditori raggruppati per settore merceologico, dove prodotti, principalmente artigianali, cibo e spezie ricordano i colori e i profumi tipici berberi.

Interessante è la visita alla medersa di Ben Youssef, la scuola coranica, che risale al XIV secolo. L’edificio si sviluppa intorno ad un cortile centrale su cui si affacciano le cellette, dove gli studenti risiedevano e studiavano il Corano. È decorato con magnifici stucchi e intagli nel legno di cedro dipinto.

Sempre nella medina si trovano le Tombe Sa’diane, costruite nel XVI secolo e impreziosite da fregi interni in stucco e zellige, le ceramiche con disegni geometrici, e comprendono due stupendi mausolei della dinastia Sa’diana.

Restaurato dal designer Yves Saint-Laurent, il Jardin Majorelle prende il nome dall’artista francese Jacques Majorelle, che si trasferì a Marrakech nel 1919. Decise di colorare le pareti della villa, in stile liberty, di un intenso blu e collezionò numerose piante che arricchirono il suo giardino, abbellito da una splendida fontana e da un delizioso laghetto. Frequentati da chi ama rilassarsi in aree verdi, anche i giardini Menara e i giardini Agdal sono ricchi di meravigliose piante, ulivi e alberi da frutto.

Un giro in calesse o a dorso di un cammello sono il modo migliore per godere della bellezza del maestoso palmeto al tramonto, che conta più di 100mila palme piantate secoli fa.

Negozi lussuosi e centri commerciali, sale da tè, caffè e ristoranti, locali alla moda che animano la vita notturna cittadina, alberghi esclusivi, insieme al patrimonio storico e artistico, fanno della città una destinazione incantevole e suggestiva.

Marrakech conserva l’aria mistica di un luogo senza tempo!

Chatham Inn a Cape Cod: unico Relais & Chateaux della penisola é l’albergo più acclamato

Il Chatham Inn nel villaggio di Chatham a Cape Cod è l’albergo più antico di Cape Cod – in attività dal 1830 – e fu costruito da Gideon e Reliance Small che giunsero al Cape dall’Inghilterra. Oggi appartiene alla famiglia Ippoliti. E’ stato completamente rinnovato tra il 2016 ed il 2019, con moderni arredi e servizi tra i più raffinati, miscelando sapientemente lo spirito e la storia di questo antico alloggio. Dispone di 18 tra camere e suite, con marmi ed onice e quadri dell’artista locale Steve Lyons.

E’ considerato tra i 20 alberghi con miglior servizio e tra i più romantici degli Stati Uniti, nonché albergo n. 1 a Chatham e n. 1 a Cape Cod. Recentemente ha ottenuto il riconoscimento di Relais&Chateau, diventando  l’unico hotel Relais & Chateaux di tutta Cape Cod.

Anche l’esperienza gastronomica è sublime, con cucina gourmet, ad iniziare dal “grand breakfast” dello chef, continuando presso il ristorante, la sala bistrot in terrazza ed il pluripremiato wine-bar. La squadra degli chef di quest’albergo utilizza prodotti d’eccellenza, tutti locali, dal pescato agli ingredienti delle fattorie, creando una svolta innovativa sulla cucina della tradizione del Cape. Si evince la sua notorietà quale meta gastronomica prediletta anche solo pranzando in uno dei suoi ristoranti.

Nel 2019 il Chatham Inn é diventato l’albergo maggiormente premiato di tutta Cape Cod, raccogliendo riconoscimenti di vario tipo: le 4 stelle di Forbes, le AAA di 4-Diamond, l’Award of Excellence da parte di Wine Spectator. La tradizione di circa 200 anni di storia continua orgogliosamente a confermare eccellenza nel campo dell’ospitalità. Il Chatham Inn ha un sito internet esaustivo con immagini eccezionali.

Fonte: Ufficio Turismo Massachusetts – Italia

Il corso del tempo ha modificato il DNA degli abitanti di un impero che univa tre continenti. Lo rivela uno studio, unico nel suo genere, che sarà pubblicato su Science

Il DNA dei romani si è modificato nel tempo seguendo l’evoluzione delle fasi storiche che hanno segnato la vita e la crescita della città che al suo culmine ha raggiunto per prima al mondo la popolazione di un milione di abitanti come capitale di un Impero che univa tra loro tre continenti. Lo rivela uno studio genetico, unico nel suo genere, che è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Science che gli ha anche dedicato la copertina.

Allo studio hanno partecipato un gruppo misto di ricercatori di diverse università tra le quali Harvard, La Sapienza e l’Università di Vienna. La ricerca ha analizzato campioni di DNA umano provenienti da 29 siti archeologici presenti nell’area intorno a Roma (Lazio e, in un caso anche Abruzzo) e che coprono un arco temporale che va dal Paleolitico all’Era Moderna (in tutto un arco temporale di circa 12 mila anni) appartenenti a 129 individui.

“Si è trattato – ha detto all’Agi Alfredo Coppa, docente di Antropologia fisica alla Sapienza che ha partecipato allo studio – di un lavoro unico nel suo genere perché ha focalizzato l’evoluzione nel tempo del DNA di una città che ha avuto un ruolo molto importante nella storia globale”. I risultati raccolti hanno così permesso di intrecciare il variare del mix genetico presente negli individui che hanno vissuto a Roma e nei suoi immediati dintorni con l’evoluzione dell’organizzazione urbana del territorio e, dopo la fondazione di Roma, anche con il variare della sua funzione, prima a carattere squisitamente regionale, poi italica, imperiale e globale e fino alla crisi dell’Impero e al successivo medioevo.

Ad ogni mutazione di questi assetti, corrispondono mutazioni nel mix di discendenti che caratterizzano il profilo genetico degli antichi romani. Così accade che il profilo genetico dei più antichi abitanti del territorio che diventerà poi Roma, intorno a 6 mila anni prima di Cristo, evidenzia la presenza di antenati di origine anatolica, e sorprendentemente anche iraniani. Successivamente, tra 5 mila e 3 mila anni fa, i DNA analizzati restituiscono l’arrivo di popolazioni dalla steppa ucraina.

Con la nascita di Roma e il costituirsi dell’Impero Romano, la variabilità genetica cambia e incrementa ulteriormente. Per questo momento, il DNA “legge” arrivi dai diversi territori dell’impero, con una predominanza dalle aree mediterranee orientali e soprattutto dal Vicino Oriente. Gli eventi storici segnati dalla scissione dell’Impero prima e dalla nascita del Sacro Romano Impero comportano un afflusso di ascendenza dall’Europa centrale e settentrionale.

“Non ci aspettavamo di trovare una così ampia diversità genetica già al tempo delle origini di Roma, con individui aventi antenati provenienti dal Nord Africa, dal Vicino Oriente e dalle regioni del Mediterraneo europeo”, sottolinea Ron Pinhasi, che insegna Antropologia evolutiva all’Università di Vienna nonché uno dei senior authors dello studio, insieme a Jonathan Pritchard, docente di Genetica e Biologia all’Università di Stanford e ad Alfredo Coppa, docente di Antropologia fisica alla Sapienza.

Per gli autori la parte più interessante doveva ancora venire. Sebbene Roma fosse iniziata come una semplice città-stato, in una manciata di secoli conquistò il controllo di un impero che si estendeva fino al nord con la Gran Bretagna, a sud nel Nord Africa e ad est in Siria, Giordania e Iraq. L’espansione dell’impero facilitò il movimento e l’interazione delle persone attraverso reti commerciali, nuove infrastrutture stradali, campagne militari e schiavitù. Le fonti e le testimonianze archeologiche indicano la presenza di stretti collegamenti tra Roma e tutte le altre parti dell’impero.

Roma, infatti, basava la sua prosperità su beni commerciali provenienti da ogni angolo del mondo allora conosciuto. I ricercatori hanno scoperto che la genetica non solo conferma il quadro storico-archeologico, ma lo rende più complesso e articolato. Nel periodo imperiale, si assiste ad un enorme cambiamento nell’ascendenza dei Romani: prevale l’incidenza di antenati che provenivano dal Vicino Oriente, probabilmente a causa della presenza in quei luoghi di popolazioni più numerose, rispetto a quelle dei confini occidentali dell’Impero romano.

“L’analisi del DNA ha rivelato che, mentre l’Impero Romano si espandeva nel Mar Mediterraneo, immigranti dal Vicino Oriente, Europa e Nord Africa si sono stabiliti a Roma, cambiando sensibilmente il volto di una delle prime grandi città del mondo antico”, riporta Pritchard, membro di Stanford Bio-X. I secoli successivi sono caratterizzati da eventi tumultuosi come il trasferimento della capitale a Costantinopoli, la scissione dell’Impero, le malattie che decimarono la popolazione di Roma e infine la serie di invasioni, tra cui il saccheggio di Roma da parte dei Visigoti nel 410 d.C.

Tutti questi eventi hanno lasciato il segno sull’ascendenza della città, che si è spostata dal Mediterraneo orientale verso l’Europa occidentale. Allo stesso modo, l’ascesa del Sacro Romano Impero comporta un afflusso di ascendenza dall’Europa centrale e settentrionale. “Per la prima volta uno studio di così grande portata è applicato alla capitale di uno dei i più grandi imperi dell’antichità, Roma, svelando aspetti sconosciuti di una grande civiltà classica”, dichiara Alfredo Coppa. “Assistiamo al coronamento di 30 anni di ricerche del Museo delle Civiltà sull’antropologia dei Romani e un nuovo tassello si è aggiunto alla comprensione di quella società così complessa ma per molti versi ancora così misteriosa” aggiungono Alessandra Sperduti e Luca Bondioli del Museo delle Civiltà di Roma.

Lo studio su Roma è stato affrontato con le più moderne tecnologie per il DNA antico che questo gruppo di ricerca utilizza da oltre un decennio, allo scopo di chiarire dettagli non leggibili nel record storico, ha affermato Pritchard. “I documenti storici e archeologici ci raccontano molto sulla storia politica e sui contatti di vario genere con luoghi diversi – ad esempio commercio e schiavitù – ma quei documenti forniscono informazioni limitate sulla composizione genetica della popolazione”.

“I dati sul DNA antico costituiscono una nuova fonte di informazioni che rispecchia molto bene la storia sociale di individui di Roma nel tempo”, afferma Ron Pinhasi. “Nel nostro studio ci siamo avvalsi della collaborazione e del supporto di un gran numero di archeologi e antropologi che, aprendo per noi i loro archivi, ci hanno permesso di inquadrare e interpretare meglio i risultati “, conclude Alfredo Coppa.

Fonte: agi.it

UN MURO DI CEMENTO E UNA SPIAGGIA AL TRAMONTO: L’ARTISTA TOSCANO CREA UN TROMPE-L’OEIL DI SAPORE POETICO ED ESISTENZIALE CHE SI STAGLIA SULL’ARCHITETTURA DELLA GALLERIA VITTORIO EMANUELE DI MILANO

Siamo giunti al quarto appuntamento della Galleria Cracco, il progetto ideato dal noto chef Carlo Cracco e sua moglie Rosa Fanti, il quale trasforma le lunette esterne del ristorante – nella lussuosa Galleria Vittorio Emanuele di Milano – in una vetrina in grado di promuovere validi artisti italiani del momento. Dopo gli occhi di Patrick Tuttofuoco, la tavolata dei Masbedo e il ritratto di Goldschmied & Chiari ora tocca all’artista toscano Giovanni Ozzola (Firenze, 1982), che trasforma il piccolo spazio espositivo in una finestra per guardare l’altrove. Come sempre in collaborazione con SkyArte (che cura i contenuti) e l’agenzia di comunicazione Paridevitale, questa volta il progetto Through a day si avvale anche di un’altra importante partnership: quella di Artissima che sta ultimando le sue preparazioni (dall’1 al 3 novembre) come Guest Curator del progetto. Avevamo visto il marchio coinvolto nel Campari Art Prize, con opere allestite recentemente alla Galleria Campari, a testimonianza di un impegno culturale della fiera torinese che si è ormai esteso ben al di là dei suoi confini geografici e delle date dell’art week.

GIOVANNI OZZOLA DA CRACCO

Through a day sfrutta le lunette del Ristorante Cracco per creare un curioso effetto tromp l’oeil ottenuto per mezzo della fotografia e della retroilluminazione: in primo piano, un muro di cemento grigio segnato da graffiti, si contrappone con il tramonto sul mare che appare al centro. È la scena che si scorge dallo studio dell’artista – luogo in cui sono avvenuti gli scatti – affacciandosi verso l’esterno: un movimento di apertura che nella poetica di Ozzola diviene qualcosa di molto più profondo e radicale. “La struttura Neorinascimentale della Galleria Vittorio Emanuele è un passaggio, sia fisico che simbolico: protetti dalla storia non solo architettonica del luogo ci confrontiamo con il nostro presente sospeso tra armonia e contrasto come nella cucina di Carlo Cracco” spiega l’artista. “Il nostro individuale cammino, il susseguirsi dei giorni legati ad una storia che tocca ciascuno andando oltre il singolo individuo. Il segno lasciato come graffito afferma l’esistenza del singolo, ma la parete colma di segni diventa la mappa che racconta un luogo e un tempo”.

Milano // fino a aprile 2020

Giovanni Ozzola, Through a day
Galleria Cracco By Sky Arte
Ristorante Cracco
Galleria Vittorio Emanuele

Fonte: Artribune.com – Giulia Ronchi

RIAPERTA LA TOMBA DEI RE A GERUSALEMME

28 Nov 2019 In: Israele

È stata riaperta la Tomba dei Re, un importante sito archeologico di Gerusalemme

La Francia ha riaperto la Tomba dei Re, un importante sito archeologico di epoca romana a Gerusalemme Est, in Israele, di cui è proprietaria e che aveva chiuso nel 2010 per lavori di ristrutturazione. Il sito risale a circa 2000 anni fa, è noto per i suoi resti ben conservati, per visitarlo bisognerà registrarsi online e pagare 10 shekel (circa 2,5 euro). Al massimo 30 persone alla volta potranno visitare l’esterno – ma non l’interno – dove si trovano fregi e bagni. I primi entrare oggi, il giorno dell’inaugurazione, erano quasi tutti ebrei ultra-ortodossi che volevano pregare all’interno del sito.

La Francia aveva riaperto la Tomba lo scorso giugno ma l’aveva subito richiusa dopo che una decina di ebrei ultra-ortodossi aveva cercato di entrare senza registrarsi come richiesto dalle regole. La riapertura è resa particolarmente complicata dalla posizione della Tomba: Gerusalemme est è abitata prevalentemente da arabi, ma venne annessa da Israele durante la cosiddetta Guerra dei sei giorni nel 1967, e Israele ne mantiene tuttora il controllo militare e civile; l’ONU e la maggior parte dei Paesi occidentali non hanno mai riconosciuto l’annessione e considerano Gerusalemme est la capitale dello stato palestinese occupata da Israele.

Fonte: ilpost.it

Questo angolo di paradiso indonesiano ti metterà in contatto profondamente con la natura. Offre spiagge maestose incastonate ai piedi di dolci colline verdi e nella barriera corallina si può ammirare una ricca vita sottomarina. A rendere unico questo resort sono le spiagge rosa. Miliardi di minuscole particelle di corallo bianco e rosso sono responsabili del colore di questo sito preferito per le lune di miele.

Ayana Komodo Resort offre oltre 200 camere e suite di alto livello. Le camere offrono splendide viste sull’oceano e sul paesaggio circostante. Ma se vuoi immergerti completamente nei panorami mozzafiato, dai un’occhiata alla Ocean View Suite. Questa lussuosa suite si affaccia sulla spiaggia di Waecicu e offre un panorama impareggiabile sull’isola di Flores attraverso la baia. Oltre alle meravigliose attrazioni, la struttura presenta un design contemporaneo e tutti i comfort che ci si può aspettare da un resort a 5 stelle.

Ayana Komodo ha 3 ristoranti e 4 fantastici bar che si trovano sulla spiaggia di Waecicu. Due dei ristoranti servono cucina locale e internazionale, ma il ristorante HonZen si distingue per il suo eccezionale menu giapponese. I bar, d’altra parte, offrono un assortimento di cocktail invitanti e anche cene all’aperto.

Fonte: xoprivate.com

Koh Lao Liang

Le Lao Liang sono isole calcaree gemelle che si stagliano maestosamente sulla superficie del Mare delle Andamane. Si trovano a 20 km dalla costa occidentale della Thailandia meridionale nel Parco Marino di Mu Koh Petra. Le isole di Lao Liang nord e sud sono di una bellezza mozzafiato e vanno visitate se vi trovate in questa porzione del Paese. L’Isola più a nord chiamata Lao Liang Nong (piccolo fratello), è quella dove si trova l’unico eco-resort: dispone di una spiaggia accogliente orientata verso est. Fauna selvatica e coralli marini sono lì a testimoniare una bellezza stupefacente a pochi metri dal bagnasciuga ed il sito si esplora in kayak in poco più di mezz’ora. L’isola più a sud, conosciuta anche come Lao Liang Pee (grande fratello), ospita un piccolo villaggio di pescatori locali. Questa isola è la più grande e presenta una lunga, bianca spiaggia sabbiosa accessibile anche utilizzando il kayak.

Entrambe le isole hanno da offrire uno strepitoso snorkeling: nuotare tra acque veramente incontaminate e chiare, impreziosite da giardini di corallo intatti circondati da pesci tropicali di tutte le fogge regala sensazioni davvero uniche. Come anticipato l’isola ha solo un resort ecologico che non ha camere ma tende come alloggio. Tutte le tende si trovano proprio sulla spiaggia, sotto l’ombra di una foresta in continua crescita. Gli alloggi sono ragionevolmente confortevoli ma va sottolineato che non c’è servizio in camera, televisione o i servizi moderni che normalmente si trovano nelle altre località di villeggiatura. Koh Lao Liang offre un’esclusiva e conveniente eco-esperienza su una spiaggia tropicale e non è raccomandata per coloro che non amano la cucina thailandese in quanto non esistono altre cucine sull’isola se non quella in cui lo chef prepara piatti tradizionali thai. Fra le attività sportive si consiglia l’arrampicata che a Koh Lao Liang è paragonabile alla miglior arrampicata di Railay e di Tonsai. Le immersioni subacquee sono di classe mondiale: molti tra i maggiori siti del Mare delle Andamane meridionale si trovano attorno all’area dell’isola di Lao Liang.

Fonte: turismothailandese.it

FORSE FU QUESTA LA CULLA DELL’UMANITÀ

26 Nov 2019 In: Botswana

Una nuova ricerca sostiene che tutto ebbe inizio in un enorme lago africano ora scomparso, ma le sue conclusioni sono contestate da numerosi esperti

Fino a circa 10mila anni fa nella parte meridionale dell’Africa, nel territorio dell’odierno Botswana, c’era il Makgadikgadi, un gigantesco lago che secondo alcuni ricercatori offrì le condizioni ideali ai nostri antenati per svilupparsi, prima di esplorare e colonizzare il resto del mondo. Secondo le teorie più diffuse la specie umana ebbe le proprie origini in Africa, ma tempi e modalità con cui si differenziò e lasciò il continente sono ancora piuttosto dibattute. Una nuova ricerca, da poco pubblicata sulla rivista scientifica Nature, ipotizza un periodo temporale diverso da quello stimato finora, ma ha suscitato forti reazioni e grande scetticismo da parte dei paleoantropologi che da decenni cercano di ricostruire le nostre origini.

Il nuovo studio è stato coordinato da Vanessa Hayes, una genetista dell’Istituto di ricerca biomedica Garvan in Australia, che insieme ai suoi colleghi ha analizzato il DNA dei mitocondri (gli organelli che si occupano di produrre l’energia per le cellule) nei khoi e nei san, due particolari gruppi etnici dell’Africa meridionale ritenuti insieme la popolazione più antica dalla quale sarebbero nati tutti gli altri gruppi di umani che si sono diffusi nel mondo.

Il DNA mitocondriale – cioè il DNA dei mitocondri – è distinto da quello del nostro organismo e viene ereditato per via materna. Durante la fecondazione, i mitocondri contenuti nello spermatozoo vengono degradati, con il risultato che il genoma mitocondriale (cioè la totalità del DNA dei mitocondri) dei figli è quasi identico a quello della madre. Per questo da tempo si parla di “Eva mitocondriale”, cioè della possibilità che tutti gli esseri umani abbiano una linea di discendenza femminile che deriva da una sola donna. Questa antenata comune potrebbe essere vissuta in Africa centinaia di migliaia di anni fa, ma collocarne l’esistenza in modo preciso nel tempo non è semplice e i tentativi svolti finora per farlo hanno lasciato perplessi molti ricercatori.

Secondo le teorie più condivise, la linea di discendenza a un certo punto si sarebbe divisa in due grandi rami che rispecchiano ancora oggi il genoma mitocondriale degli esseri umani. Un ramo, chiamato L0, è presente per lo più nell’Africa meridionale in piccoli gruppi etnici come quelli dei khoi e dei san. L’altro, chiamato L1-6, comprende grossomodo tutti gli altri esseri umani e ha quindi ricevuto più attenzioni rispetto al primo, anche perché comprende le popolazioni dell’Occidente, generalmente più studiate.

Hayes ha quindi pensato di dedicarsi a L0, selezionando 200 individui appartenenti a questo gruppo, i cui dati sono poi stati aggiunti a un set già raccolto in passato e che comprendeva un altro migliaio di individui. Analizzando le caratteristiche del genoma, e sfruttando alcune tecniche che consentono di simularne i cambiamenti nel corso del tempo risalendo da una generazione all’altra, Hayes ha concluso che L0 comparve nella zona in cui si trovava il lago Makgadikgadi circa 200mila anni fa. Nello studio, i ricercatori scrivono inoltre che per 70mila anni L0 cambiò poco, e che quindi la migrazione dei primi umani moderni potrebbe essere iniziata intorno ai 130mila anni fa.

Sulla base di altre simulazioni, Hayes ritiene che la sua ipotesi sia coerente con le condizioni ambientali e del clima di quella remota epoca. L’Africa meridionale era per lo più arida, fatta eccezione per le zone paludose intorno al lago che costituivano una sorta di oasi. I primi umani non ebbero per millenni particolari ragioni per abbandonare la zona, visto che allontanandosi avrebbero incontrato terreni aridi con poca fauna e vegetazione per sostenersi. Le cose cambiarono man mano che aumentò l’umidità nella zona, aprendo nuove vie fertili per allontanarsi verso nord-est e verso sud-ovest, consentendo infine ai primi umani moderni di lasciare il lago e di avventurarsi in nuovi territori. Man mano che migrarono, il loro genoma mitocondriale si diversificò, portando poi alle altre linee di discendenza.

La linea temporale dei 200mila anni per la comparsa dei primi individui e dei 130mila anni per le prime migrazioni identificata nello studio di Hayes non convince però la maggior parte dei ricercatori. La ricerca è stata pubblicata da pochi giorni e si sono già accumulate diverse critiche, come spiega l’Atlantic.

La più ricorrente riguarda la scelta dei ricercatori di prendere in considerazione solamente il genoma mitocondriale dei khoi e dei san dei giorni nostri, che contiene solamente una piccola frazione delle informazioni genetiche sugli antenati dell’umanità. Lo studio non ha tenuto conto di molte altre scoperte degli ultimi anni, basate sul ritrovamento di fossili e altre tracce sui movimenti e la diffusione della nostra specie, Homo sapiens, centinaia di migliaia di anni fa.

C’è per esempio uno studio di un paio di anni fa, che attraverso l’analisi di alcuni antichi genomi ha trovato indicazioni sul fatto che gli antenati degli odierni khoi e san si fossero differenziati da quelli di altre antiche popolazioni africane tra i 350mila e i 260mila anni fa, quindi in un periodo temporale molto antecedente a quello identificato dalla ricerca di Hayes e colleghi. Altri studi simili avevano rilevato ulteriori divisioni nelle linee di discendenza, ma non sono stati presi in considerazione nella nuova ricerca.

L’analisi dei fossili, quindi di resti riconducibili all’epoca dei primi esseri umani, tracciano una storia ancora diversa. Nel 2017, per esempio, sono state scoperte in una grotta in Marocco alcune ossa che si stima risalgano a 315mila anni fa e che sono ritenute le più antiche mai trovate appartenenti a Homo sapiens, la nostra specie. Altri reperti databili a 180mila anni fa sono stati trovati in Israele, e sembrano suggerire che gli umani iniziarono a espandersi fuori dall’Africa prima di quanto fosse stato ipotizzato e di quanto stimi la ricerca di Hayes.

Quest’anno, in Grecia, sono state inoltre ritrovate ossa risalenti a 210mila anni fa, sempre appartenenti a Homo sapiens e che sembrano fornire ulteriori conferme al fatto che all’epoca fossero già in corso migrazioni, con gruppi di umani che esploravano nuovi territori in cui vivere. Oltre ai resti fossili, ci sono poi i ritrovamenti di manufatti in pietra, la cui età è stimata intorno ai 300mila anni, trovati non solo in Sudafrica, ma anche in Kenya e più a nord in Marocco.

La spiegazione che si danno diversi ricercatori, e che sta diventando sempre più condivisa, è che probabilmente l’umanità non ebbe origine in una sola parte dell’Africa, ma in più aree del continente. Questa teoria “multiregionalista” dice che gli umani moderni si svilupparono in più parti dell’Africa, entrando saltuariamente in contatto tra loro, mischiandosi progressivamente. Questo spiegherebbe perché fossili e strumenti risalenti ai medesimi periodi si trovino in posti molto distanti tra loro.

Hayes ha risposto alle critiche dicendo di non negare le scoperte degli ultimi tempi. Ritiene però che i reperti trovati in questi anni comprendano epoche distanti tra loro e che, anche se ricondotti a Homo sapiens, non rappresentino l’umanità per come appare adesso. La ricercatrice sostiene di avere orientato la sua ricerca considerando gli umani anatomicamente moderni, appartenenti alla linea di discendenza che ci ha portato ai giorni nostri.

C’è però qualche complicazione anche nell’approccio che dice di avere seguito Hayes. Le caratteristiche tipiche degli umani odierni non apparvero tutte insieme in uno stesso individuo fino a un periodo tra i 100mila e i 40mila anni fa. Questa finestra temporale trova la migliore spiegazione nella teoria multiregionalista e poco si adatta alla nuova ricerca. Molti indizi ci dicono che probabilmente non ci fu un solo gruppo di nostri antenati, ma che ce ne fossero diversi sparpagliati per l’Africa che mischiandosi tra loro innescarono la serie di eventi che portò a cosa siamo noi oggi.

Fonte: ilpost.it

DENDERA: IL TEMPIO DEDICATO ALLA DEA HATHOR

26 Nov 2019 In: Egitto

Uno dei complessi templari meglio conservati in Egitto: Dendera

Situato sulla riva occidentale del Nilo, il complesso templare attuale risale al periodo tolemaico-romano. Il tempio principale è dedicato alla dea Hathor, venerata dea della maternità, della gioia e dell’amore, affiancato da altri siti minori tra cui due Mammisi – luoghi della rinascita – un lago sacro e una chiesa cristiana. È evidente che anche i regnanti in epoche più recenti, come quelli della dinastia tolemaica, si siano adoperati per dimostrare la devozione verso le divinità dell’olimpo egizio, sempre tanto care al popolo.
Il sito presenta tracce riconducibili all’Antico Regno, il che fa supporre che il luogo fosse già da secoli significativo per gli antichi Egizi.

Giunto a noi quasi intatto, con cappelle, passaggi sotterranei, il tetto policromo, costruito con monoliti, e grandi colonne con capitelli che raffigurano il viso della dea dalle orecchie bovine, il tempio testimonia l’importanza del culto di Hathor, legata indissolubilmente al divino Horus.

Il luogo è avvolto da alcuni misteri di cui si dibatte da decenni, in primis il rilievo dello Zodiaco, che rappresenta la volta celeste secondo schemi mesopotamici presumibilmente precedenti alla civiltà Egizia. Inoltre due misteriosi bassorilievi contenuti nella cripta, comunemente ritenute immagini simboliche di fiori di loto associate al serpente, vengono interpretate da alcuni esperti come rappresentazioni di “lampade a incandescenza”, ipotizzando la conoscenza dell’elettricità all’epoca egizia.

Colori rimasti eccezionalmente vividi e suggestive iscrizioni geroglifiche rendono Dendera uno dei più interessanti templi in Egitto, che svela numerosi e importanti indizi legati all’evoluzione della
sua misteriosa storia e sacralità.

UN GEMELLAGGIO NEL TEMPO, NEI LUOGHI E NELLE STORIE COINVOLGE L’ARAZZO DELLA CITTADINA NORMANNA E QUELLO DI “GAME OF THRONES”

Arazzo di Game of Thrones

A Bayeux, in Normandia, è conservato uno dei più importanti documenti del Medioevo europeo. L’Arazzo di Bayeux, noto anche con il nome di Arazzo della Regina Matilde o Telle du Conquest, è una striscia di 68 metri di tessuto di lino fittamente ricamato con fili di lana. Sono riprodotte 58 scene sequenziali con 1200 figure di uomini, animali, alberi, palazzi, castelli e navi. Racconta le vicende che portarono all’invasione d’Inghilterra da parte di Guglielmo, già duca di Normandia e ‒ dal momento della sua vittoria nel 1066 ‒ soprannominato “il Conquistatore”.

Arazzo di Bayeux

La narrazione inizia con l’incarico che re Edoardo il Confessore affida ad Aroldo: deve andare in Normandia per comunicare a Guglielmo che lo ha scelto come successore. Le due traversate della Manica, gli equivoci, i preparativi, l’attacco e infine la vittoria possono essere considerati nel loro insieme un imponente lavoro di comic art, se non fosse che le vicende storiche e le circostanze sono talmente dettagliate da essere considerate un punto di riferimento per gli abiti, le usanze comuni, le tecniche belliche, le armi, le navi e le architetture. A tutti gli effetti è considerato dagli storici un compendio degli usi e costumi dell’Europa del XII secolo. Fu realizzato probabilmente in una scuola di tessitura a Canterbury, dieci anni dopo gli avvenimenti. Il committente fu Odone, vescovo e fratellastro di Guglielmo.

Arazzo di Bayeux

L’unico difetto, congenito alla struttura lineare dell’opera, è dover dipendere nella visita da chi precede. Bisogna accodarsi e sperare che mantenga la stessa velocità dettata dall’audioguida, indispensabile a meno che non siate medievalisti esperti in storia normanna. Il problema è naturalmente ovviabile scegliendo di ammirare l’arazzo di prima mattinata o nel tardo pomeriggio, quando il flusso di visitatori è più contenuto.

Arazzo di Game of Thrones

L’ARAZZO DI GAME OF THRONES

Fino al 31 dicembre, la città della Normandia, famosa anche per essere stata la prima città di Francia liberata dopo lo sbarco alleato del 1944, ospita un altro arazzo. All’ombra della magnifica cattedrale di Bayeux, sono esposti gli 80 metri di tessuto decorato con le storie degli episodi di Game of Thrones, il Trono di spade, successo planetario della casa di produzione HBO tratto dalla saga di George R.R. Martin. Tra il fantasy e il Medioevo, l’imponente lavoro ha coinvolto disegnatori e tessitori del XXI secolo in un inconsueto parallelismo con gli artigiani di nove secoli fa. Niente Francia o Inghilterra, però.

Arazzo di Game of Thrones

La protagonista della saga contemporanea è l’Irlanda. L’Isola di San Patrizio, e nella fattispecie la sua parte settentrionale, è la sede di molte delle location, in particolare di Winterfell e delle terre del nord a ridosso del muro. Con la benedizione di HBO, per i (non pochi) fanatici è stata creata anche un’app per scoprire gli strepitosi paesaggi dove il verde intenso dei prati precipita nel blu dell’oceano. Lasciata Bayeux, dal 2020 l’arazzo di Game of Thrones sarà esposto presso l’Ulster Museum di Belfast.

Arazzo di Game of Thrones
Arazzo di Game of Thrones
Game of Thrones a Bayeux
Game of Thrones a Bayeux

Fonte: artribune.com ‒ Stefano Paolo Giussani


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