TORNA DOPO OLTRE 25 ANNI A MILANO UN RISTORANTE TRISTELLATO, GRAZIE ALLA FILOSOFIA “CONTEMPORARY CLASSIC” DELLO CHEF TOSCANO. TUTTO AVVIENE IN UNO SPAZIO CULTURALE, AL TERZO PIANO DEL MUSEO DELLE CULTURE DI VIA TORTONA.
Enrico Bartolini sale nell’Olimpo dell’alta ristorazione come chef più stellato di Italia. A incoronarlo è stata la Guida Michelin, che durante la presentazione del 6 novembre ha svelato la sua Guida del 2020 e tutte le nuove stelle del panorama italiano. La Lombardia si conferma anche per questa edizione la regione più titolata, con 62 ristoranti stellati. Lo chef Bartolini porta a casa anche due stelle per il suo Glam di Venezia (col talentuosissimo chef Donato Ascani). Ma il successo indiscusso è nel segno delle tre stelle assegnate al Ristorante Enrico Bartolini al Mudec, al Museo delle Culture di via Tortona. Che sancisce il ritorno a Milano, dopo oltre 25 anni (era infatti il 1993 quando Gualtiero Marchesi chiudeva il miticoristorante di via Bonvesin de la Riva), di un ristorante tristellato.
SUCCESSO PER MILANO
“È un onore aver riportato le tre stelle a Milano” commenta Bartolini, “Milano ha sempre rappresentato una dualità per me: così amata e, al tempo stesso, così temuta… Le paure però sono poi diventate stimoli ed è qui, infatti, che ho deciso di stabilire il mio headquarters: è al Mudec che nascono le idee e i progetti che poi trasferiamo negli altri ristoranti. Milano è un fermento, Milano è creatività, grazie anche ai molti bravissimi colleghi che stanno facendo un lavoro egregio nella proposta gastronomica”. E in effetti sono pochi i dubbi sull’impatto positivo di questo riconoscimento non solo sul ristorante di Bartolini ma su tutto il sistema Milano, città che sta facendo tanto sulla qualità e l’accuratezza della proposta sia dal lato degli imprenditori privati sia con l’impegno di una macchina comunale efficiente.
CHI È ENRICO BARTOLINI
Originario di Castelmartini in Toscana, classe ’79 (la vittoria giunge alla soglia dei suoi 40 anni), quello di Bartolini è un progetto gastronomico e imprenditoriale. Partito nel 2010 con la gestione del Devero Ristorante e del Dodici24 Quick Restaurant a Cavenago Brianza, è oggi gestore di una decina di ristoranti in Italia e all’estero, tra cui il Casual di Bergamo Alta, il Glam di Venezia, La Trattoria di Castiglion della Pescaia, Roberto’s di Dubai e Abu Dhabi e Spiga di Hong Kong, la sua prima avventura imprenditoriale fuori dal continente. Tra tutti questi però il riconoscimento più ambito è atterrato nel ristorante ospitato in un museo. I tanti turisti (ce ne sono alcuni che girano solo per ristoranti con Tre Stelle) che verranno a trovarlo saranno in qualche modo obbligati a transitare attraverso un museo e a venire in contatto col sistema museale milanese, la sua offerta, le sue mostre.
LO CHEF BARTOLINI E LA SUA FILOSOFIA
“La personalità dello chef spicca per ricerca e sperimentazione regalando un tocco d’artista al ricco patrimonio gastronomico italiano”, si legge nelle motivazioni che hanno portato all’assegnazione della terza stella al ristorante del Mudec di Milano. Tra i fattori che hanno reso famosa sua la cucina c’è anche la filosofia del “BE Contemporary Classic”: unire la tradizione con l’innovazione e non smettere mai di sperimentare, con l’obiettivo di legare i piatti a una carica di ricordi e di impatto emotivo. La stessa carica che trapela anche dallo chef Bartolini, che commenta ancora così la vittoria della premiazione Michelin: “Mi sento come se avessi vinto un oro olimpico, un risultato così non si pianifica: si ambisce da sempre, ma non ce lo si aspetta mai… e come nello sport ai massimi livelli, ci si deve allenare ogni giorno, con fatica e sacrificio, senza mai perdere di vista la visione generale, nel rispetto di una filosofia e di un’etica ben precise”. E conclude, “non posso che condividere questo meraviglioso momento con Remo e Mario Capitaneo e Sebastien Ferrara per Milano, e con Donato Ascani a Venezia: hanno dato prova di grande impegno e costanza”.
Fonte: Artribune.com – Giulia Ronchi
La costruzione del complesso di Philae risale all’epoca tolemaica – spicca il tempio di Iside, dedicato alla dea dell’amore
Tra suggestive rocce granite rosa avvolte da una vegetazione rigogliosa, a bordo di una piccola imbarcazione che scivola dolcemente sulle acque blu del Nilo, si arriva ai templi di Philae, che raggiunsero la massima importanza durante la dinastia tolemaica. Un complesso templare che sorgeva sull’omonima isola e che, a seguito della costruzione della Diga di Aswan, nel 1977 fu trasferito sull’isola di Agilkia per salvarlo dall’innalzamento delle acque. Un’impresa colossale: dopo aver circondato l’isola con uno sbarramento per farla riemergere dall’acqua, i templi sono stati tagliati in numerosi blocchi e ricostruiti nell’attuale sito ridando vita ad un capolavoro architettonico di bellezza impareggiabile.
Spicca l’imponente tempio dedicato a Iside, considerato il luogo principale dove veniva celebrato il culto della dea dell’amore. Colonne con capitelli riccamente decorati e pareti con bellissimi rilievi, dove viene rappresentato il mito dell’amato dio Osiride, fratello e sposo della dea, conducono al cuore del tempio: il santuario di Iside.
Anche il dio falco Horus e la dea Hathor sono rappresentati con altri due meravigliosi tempietti. Risalente a più di duemila anni fa, il Chiosco di Traiano si trova vicino al tempio principale. Completato da Traiano durante il suo impero, presenta stupende decorazioni incise sulla pietra di arenaria e si crede venisse utilizzato per far sostare la barca sacra di Iside durate le cerimonie.
Visti dal Nilo, i templi si specchiano nelle tranquille acque del fiume amplificando la straordinaria bellezza di un luogo che nei secoli non ha mai smesso di esprimere sacralità, energia e misticismo.
L’esperimento nel secondo scalo della capitale UK, contro le stressanti file all’ingresso: si imbarca un passeggero per volta, chiamato per posto, a cominciare da quelli esterni
L’imbarco in aereo è una delle fasi più stressanti di un volo. Specialmente per chi viaggi poco e non disponga di accessi prioritari al velivolo legati ai programmi fedeltà delle compagnie come gli status Ulisse o Freccia Alata di Alitalia o Frequent Traveller di Lufthansa. Ogni compagnia e ogni aeroporto organizzano infatti le operazioni come meglio preferiscono: chi in modo tradizionale, con le classiche file e dando la priorità ai passeggeri di business class o a quelli che hanno appunto un qualche tipo di precedenza; chi per zone (strategia tipica dei vettori statunitensi); chi ancora – specialmente negli scali meno attrezzati – senza una logica precisa alla base, specialmente quando l’imbarco avvenga tramite autobus. Con la conseguenza che sistemare il bagaglio nella cappelliera e sedersi può diventare un dramma fra chi si attarda nelle prime file prendendosi tutto il tempo e bloccando l’afflusso regolare, chi non trova più spazio negli alloggiamenti e perde la pazienza, fra steward e hostess messi a dura prova e tempi del decollo che si allungano, spesso perdendo lo slot di partenza previsto.
All’aeroporto di Gatwick, il secondo di Londra a Sud della capitale britannica che rappresenta un mercato da oltre 170 milioni di viaggiatori all’anno, stanno pensando a nuove strategie per risolvere uno dei problemi più rognosi dell’intera esperienza aeroportuale. Un collo di bottiglia che può avere forti ripercussioni specialmente per quelle compagnie che operano diversi voli sul breve e medio raggio in stretta successione e per le quali i tempi d’imbarco sono essenziali per la puntualità e la redditività. E dunque per la soddisfazione dei passeggeri, visto che tutto si tiene nel magico mondo aeroportuale. Al gate 101 dello scalo inglese, mostro che nel 2017 ha raccolto 45,6 milioni di passeggeri contro i 75,7 di Heathrow, si stanno infatti sperimentando nuovi sistemi per un imbarco più veloce e meno stressante.
La strategia più promettente, che verrà testata per due mesi, sembrerebbe essere quella di ricorrere all’imbarco in base alla poltrona, cioè al numero della fila e al posto (A, B, C eccetera). Secondo gli esperti, fra cui Abhi Chacko, responsabile delle tecnologie digitali dell’aeroporto, il metodo potrebbe ridurre drasticamente i tempi, almeno del 10%, facilitando la vita a passeggeri, equipaggio e conti delle compagnie. Il punto centrale è (o sarà, nel caso venga implementato) abituare i viaggiatori al nuovo schema, che potrebbe funzionare in questo modo. L’imbarco dei passeggeri (chiamati attraverso grandi schermi in cui verrà visualizzato il loro posto) potrebbe iniziare, e così sta avvenendo a quel gate, dalle poltrone che danno sul finestrino nelle file posteriori dell’aeromobile e procedere poi verso le file più avanzate. Non, però, saltando da un lato all’altro del corridoio ma completando prima un lato dell’aereo e poi passando a quello opposto, proprio per evitare ogni possibile inghippo legato all’alternanza fila destra-fila sinistra. E le famiglie, che evidentemente dispongono di posti vicini ma che finirebbero per imbarcarsi in momenti molto diversi, sarebbero autorizzate a salire tutte insieme, specialmente se hanno acquistato una qualche forma di imbarco prioritario come lo Speedy Boarding di easyJet, che è una delle compagnie che partecipano visto che Gatwick è l’hub storicamente più importante. Altrove, invece, alle famiglie viene accordata sempre la precedenza. A proposito: chi salta l’appello salirà a bordo per ultimo.
“Comunicando meglio con i passeggeri e imbarcandoli per numero di poltrona ci aspettiamo di rendere l’intera esperienza più rilassante e, potenzialmente, evitare a un gran numero di viaggiatori di affrettarsi in ogni fase dell’imbarco” ha spiegato Chacko.
Non è l’unica strada. Allo scalo britannico stanno pensando a una serie di altre opzioni, molte delle quali in realtà già provate in precedenza, anche se potrebbe non esserci una sola strategia vincente. Dipende dagli aeroporti e dal tipo di viaggiatori che li frequentano: certi voli o gate potrebbero continuare a imbarcare nei modi classici, magari perché c’è in attesa un velivolo più piccolo e orientato a una clientela strettamente business, altri potrebbero sposare l’imbarco 2.0 con questa sorta di “appello” per poltrona, uno ad uno, evitando gli affollamenti, i litigi e gli intoppi sul corridoio fra borse che precipitano e vicini di posto che se la prendono comoda.
Il metodo in fase di sperimentazione a Gatwick appare in effetti interessante. La questione centrale da risolvere è proprio quella degli imbarchi prioritari. Non tanto per le compagnie tradizionali, che assegnano gratuitamente la scelta del posto riservando la priorità a disabili, famiglie e frequent flyer, quanto per le low cost che invece fanno della selezione della poltrona una notevole fonte di ricavi ancillari già in fase di prenotazione: chiunque acquisti uno Speedy Boarding, per esempio, lo fa anche perché sa che potrà accedere rapidamente all’aereo e questo riguarda spesso un numero elevato di passeggeri. Anche perché agli imbarchi veloci delle low cost è spesso associato un bagaglio aggiuntivo. Il che renderebbe in parte inefficace la nuova modalità d’imbarco nella sempreverde battaglia all’imbarco lumaca.
Fonte: repubblica.it – SIMONE COSIMI
Alla conquista dell’Erg Chebbi
I paesaggi del Marocco custodiscono una delle storie più antiche dell’umanità e i Berberi, tra i primi popoli ad abitare nel Paese, continuano a preservare il loro millenario patrimonio culturale mantenendo vive le tradizioni, la lingua, la cucina, le danze e la musica, che esprimono un forte senso di identità.
L’approccio con il deserto è graduale, in totale sintonia con i ritmi scanditi dal territorio. L’incontro è empatico e mi ha posto al centro dell’esperienza, che si modella intorno a me fino a superare ogni aspettativa.
L’itinerario nel deserto inizia da Erfoud, dallo splendido hotel Kasbah Xaluca Maadid, sulla famosa pista della Parigi-Dakar. Nella location si respira un’aria di avventura, perché è frequentata da numerosi sportivi che con auto da rally e moto da enduro raggiungono la zona per concedersi eccezionali emozioni adrenaliniche. Come un’intrepida centaura, anch’io non resisto alla tentazione di fare il mio primo giro in quad tra le piccole dune di sabbia dorata che circondano la proprietà. Realmente appagante!
A bordo di un veicolo 4×4, con un autista esperto, che segue percorsi apparentemente non tracciati in un vasto terreno arido e roccioso, predispongo la mente a volare libera da ogni condizionamento.
Lungo la pista, ho incontrato una famiglia berbera nomade, che vive in un piccolo nucleo abitativo completamente isolato e, con grande generosità, al riparo dal sole, sotto una tenda nera, mi ha offerto un delizioso tè alla menta appena preparato accompagnato da frutta secca e biscotti. Le donne berbere sono avvolte nel loro tipico abito ricamato a differenza di quello arabo privo di decorazioni. Vivono con poco, ma amano condividere ciò che hanno senza chiedere nulla in cambio.
Raggiungo la cava di fossili marini antica più di 360 milioni di anni quando in tutta l’area era presente il mare. I fossili sono facilmente visibili tra le rocce disseminate intorno a me.
Proseguendo, il terreno diventa più sabbioso e dietro una prima duna, affrontata con entusiasmo dal 4×4, si cela la meravigliosa oasi di Tisserdmine: un palmeto lussureggiante dove mi aspetta un gustoso pranzo all’aperto. Ora apprezzo con un occhio diverso il vero dono del deserto: l’oasi! Nel deserto nulla sembra essere scontato. Ho la sensazione che la Natura vinca sempre rigenerandosi prepotentemente dovunque arrivi l’acqua, anche dove sembra non esserci vita.
Il deserto mi conquista appena affondo il piede nudo nella sabbia rossastra: è amore immediato, passione travolgente e inaspettata.
Sono pronta per inoltrarmi nelle iconiche dune dell’Erg Chebbi. Plasmate dal vento, in perenne evoluzione, le dune tracciano nuovi sentieri e passaggi creando bizzarre increspature… sono investita da una forte sensazione di conquista, duna dopo duna. Lasciata la macchina procedo a dorso di dromedario. Gli occhi si riempiono di bellezza apprezzando il silenzio e l’eco del passato, quando lente carovane affrontavano un lungo viaggio sulla rotta commerciale da Timbuktu, nel cuore dell’Africa, fino a Marrakech, dove scambiavano oro e schiavi con il prezioso sale.
Condotta sapientemente nel cuore sabbioso del Sahara, raggiungo l’ambita meta: la sommità di una duna da cui assisto al tramonto. Un momento ipnotizzante, che sottolinea quanto il deserto si nutra della forza del sole restituendo molteplici sfumature di colore e vivacità. Il rientro, tra le ombre delle dune che raccolgono l’ultima luce residua, è ricco di aspettativa. L’arrivo nel campo tendato è l’highlight della giornata. Al buio, circondata da candele e da innumerevoli tappeti che attutiscono i passi sulla sabbia, l’accoglienza è allietata dal ritmo Gnawa, una musica rituale praticata da gruppi etnici di discendenza subsahariana. Dimentico il resto del mondo, la mia routine, le mie ansie, i miei affanni quotidiani e mi lascio trasportare dal ritmo intenso scandito dai tamburi e dalle voci calde dei musicisti.
Un tè fumante offerto davanti ad un falò all’ingresso dell’area ristorativa precede un’ottima cena tipica berbera. Le tende, rivestite internamente di lana di dromedario, esattamente come quelle dove vivono i nomadi del deserto, sono meravigliosamente arredate ed accoglienti.
Le stelle mi attendono! Quando le luci del campo vengono spente, mi sdraio su un tappeto sopra la sabbia in contemplazione di un cielo che sembra non avere confini e cerco di scorgere le stelle cadenti, vivendo l’illusione che i desideri espressi si avverino durante una notte indimenticabile.
L’appuntamento è con l’alba!
Mi sveglio prima che il sole sorga e mi sdraio nuovamente sullo stesso tappeto che mi ha ospitato quando sono entrata in connessione con l’universo. Ammiro i primi raggi del sole che raggiungono il paesaggio ondulato di fronte a me… è di nuovo vita, vigore, luce e la sabbia prende forma, colore e calore ricordandomi quanto è prezioso il nostro pianeta pronto a regalare emozioni profonde che a volte dimentico di cogliere.
Il deserto non mi sembra più arido e vuoto, anzi, proprio quel vuoto mi riempie letteralmente il cuore!
Un altro po’ di fuoristrada con il 4×4 mi dona attimi di divertimento puro, mentre lascio a malincuore l’Erg Chebbi. Ma il sogno non termina drasticamente: il Kasbah hotel Tombouctou Xaluca è parte del deserto e il ritorno alla realtà è attenuato da un’accoglienza calorosa e attenta con un buon tè profumato alla menta, un hammam piacevole e un bagno in piscina.
Lo sguardo scruta l’orizzonte sfumato da una leggera brezza e gli innumerevoli granelli di sabbia mi sembrano familiari quando li percorro con un grande senso di appartenenza, dopo aver vissuto un’esperienza immersiva nel deserto circondata dal quel sorprendente “nulla” ricco di magia, di fascino, di atmosfera e di energia incontaminata.
Foto: Alessandra Fiorillo
Il Museo del futuro di Dubai è una delle opere più innovative dell’ingegneria moderna, e la sua realizzazione pioneristica lo rende una delle mete più interessanti dell’Expo 2020
In attesa di ospitare l’Expo 2020, Dubai è pronta a inaugurare entro l’anno il suo fiore all’occhiello: il Museo del futuro, un gioiello dell’architettura e del design dal costo di 136 milioni di dollari che è stato progettato grazie all’aiuto di un algoritmo. Questo capolavoro dell’ingegneria moderna è stato commissionato dallo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum, vicepresidente e primo ministro degli Emirati Arabi Uniti, nonché emiro di Dubai.
Il Museo del futuro sarà il perno di progetti innovativi e una vetrina per il progresso della scienza e la tecnologia. È facile intuire come diventerà un punto di incontro per i visionari di tutto il mondo proprio partendo dalle sue caratteristiche: una forma ovale eclettica, un’altezza di 78 metri e una superficie di 30mila metri quadrati. L’opera, attualmente in fase di ultimazione, è rivestita con facciate in acciaio inossidabile e vetro con un motivo a disegni intricati che richiama la calligrafia araba. Al momento circa il 70 per cento della struttura è già rivestita.
Un museo pensato per la tecnologia e – coerentemente, si potrebbe dire – realizzato grazie all’intelligenza artificiale. L’intero processo di costruzione è infatti stato possibile grazie al sistema Bim (Building Information Modeling). Questo processo si basa su un algoritmo che consente di manipolare variabili o parametri specifici per alterare il risultato di un’equazione. Si tratta, di fatto, di una tecnologia tridimensionale collaborativa che permette di progettare e documentare lo sviluppo dell’opera. Sebbene il modello Bim non fosse una novità nel campo, non era ancora stato applicato per un progetto di questo calibro.
In particolare, il sistema ha agito per evitare il maggior numero possibile di curvature complesse. Si tratta, di fatto, di dettagli quasi impercettibili all’occhio umano, ma fondamentali per la tenuta ingegneristica dell’edificio. Infatti, l’elemento sicuramente più interessante è la diagrid (una struttura di travi che si usa nella costruzione dei grandi edifici) autoportante che costituisce la struttura principale dell’opera. Il consulente principale del progetto, la britannica BuroHappold Engineering, ha spiegato che proprio in quest’ambito è stato cruciale l’intervento dell’algoritmo: con infinite permutazioni possibili per la forma della struttura, l’algoritmo è riuscito – progressivamente con l’avanzamento del progetto – ad arrivare alla disposizione ottimale. La diagrid riesce così a sorreggersi, fungendo da guscio per l’edificio e sostenendo i solai interni che sono disposti su sette livelli.
La realizzazione dell’opera, la cui geometria appare tanto affascinante quanto complessa, ha rappresentato un percorso non facile che ha richiesto anni e moltissimo lavoro, in cui l’interazione umano-macchina è stata fondamentale. Come a voler scrivere nel dna architettonico dell’edificio la sua funzione, in linea con quello che il primo ministro emiratino affermava sull’opera già nel 2015: “Il futuro appartiene a coloro che sanno immaginarlo, disegnarlo ed eseguirlo. Non è qualcosa da attendere, ma da creare”.
Fonte: wired.it – Alessio Foderi
International Airlines Group, la società che controlla British Airways, acquisterà la compagnia aerea spagnola Air Europa per 1 miliardo di euro
International Airlines Group (IAG), la società nata nel 2011 dalla fusione della compagnia aerea britannica British Airways con la spagnola Iberia, ha trovato un accordo per acquistare la compagnia spagnola Air Europa per 1 miliardo di euro. In un comunicato diffuso lunedì, IAG ha detto che l’acquisto verrà completato entro la fine del 2020 e che con questa acquisizione l’aeroporto di Madrid diventerà “una vera rivale” dei quattro più importanti scali aerei europei: Amsterdam, l’aeroporto di Heathrow a Londra, e l’aeroporto Charles De Gaulle a Parigi.
Air Europa è la terza compagnia aerea più grande di Spagna dopo Iberia e Vueling, e ha una flotta di 66 aerei che operano voli interni e internazionali verso 69 destinazioni. Nel 2018 la società ha ottenuto ricavi per 2,1 miliardi di euro e un utile operativo di 100 milioni di euro.
Fonte: ilpost.it
L’appellativo “La Grande Mela” in riferimento alla più famosa città americana comparve per la prima volta nel 1909 quando E.S. Martin nel suo libro “The Wayfarer in New York” paragonò lo stato di New York a un albero di melo, con le radici nella valle del Mississippi e il frutto a New York City.
Un’immagine molto simbolica e suggestiva che catturò subito l’attenzione. Agli inizi degli anni 20, poi, il primo a utilizzare effettivamente il termine “Big Apple” fu il redattore sportivo J.J. Fitzgerald. Dopo aver sentito appellare così l’ippodromo di New York da alcuni scommettitori sulle corse dei cavalli, chiamò la sua celebre rubrica “Around the Big Apple”. Grande Mela stava a indicare le grandi vincite alle scommesse.
Un grosso aiuto al consolidamento dell’espressione venne poi dalla musica jazz poiché una tonda mela rossa era proprio il compenso che ricevevano i musicisti degli anni 30 suonando nei locali di Harlem e Manhattan. Iniziarono così tutti a soprannominare New York come la Grande Mela, capitale di successo della musica jazz nel mondo. Quando un concerto si teneva lontano dalla città usavano invece dire che si andava suonare sui “rami”.
Fonte: vistanet.it
IL CENTRE POMPIDOU SI ESTENDE, PER LA PRIMA VOLTA, FUORI DALL’EUROPA. IL COMPLESSO ARCHITETTONICO, PROGETTATO DALLO STUDIO DAVID CHIPPERFIELD ARCHITECTS, OCCUPA UN LOTTO ALL’INTERNO DI UN NUOVO DISTRETTO CULTURALE DELLA METROPOLI CINESE, CHE PROPRIO IN QUESTI GIORNI OSPITA LA FIERA WESTBUND ART & DESIGN
Non è mancato neppure il presidente francese Emmanuel Macron alla cerimonia di inaugurazione del Centre Pompidou x West Bund Museum Project, accessibile ufficialmente al pubblico da venerdì 8 novembre. Con questa apertura, che arriva al termine di un percorso non privo di battute d’arresto, l’istituzione francese sembra compiere un balzo in avanti nei propri piani di espansione culturale, traghettandosi fino al cuore commerciale della Cina. Mentre le precedenti esperienze – dal Centre Pompidou Metz, in terra francese, allo spazio pop-up di Malága, in Spagna; dal progetto in fieri a Bruxelles fino all’Art Factory, annunciato solo una manciata di giorni fa – si erano svolte all’interno dei confini europei, tutto sommato non distantissimi dalla casa madre, l’approdo in Asia attesta un cambiamento di passo. Nello stesso tempo, si presta ad alimentare analisi dettate anche dall’attuale fase politica, segnata dalle manifestazioni in corso a Hong Kong e dalla “guerra dei dazi” con gli Stati Uniti.
IL PIÙ GRANDE ACCORDO CULTURALE TRA FRANCIA E CINA
Suonano dunque quasi come una rassicurazione le parole scelte dal presidente del Pompidou, Serge Lavignes, nelle dichiarazioni rilanciate dalla stampa francese. Lavignes ha voluto specificare che la nuova istituzione disporrà di una “sufficiente libertà” per operare in Cina. Una precisazione necessaria per chiarire il lavoro che il Pompidou svolgerà nel neonato centro artistico di Shanghai, dato il suo diretto riflesso a livello curatoriale e programmatico. Francia e Cina, nella fattispecie il Centre Pompidou Paris e la società statale West Bund Development Group, hanno infatti sottoscritto un accordo quinquennale, nel quale sono stati definiti i dettagli del “mandato culturale”. Come testimonia la prima delle mostre semipermanenti ospitate – The Shape of Things, curata da Marcella Lista e comprensiva di un centinaio di opere della collezione parigina, invero con una selezione un po’ banale e scontata in spazi non propriamente ariosi – sarà l’istituzione francese a disegnare l’identità espositiva del nuovo museo. Visitabile fino al maggio 2021, questo primo progetto include opere dell’arte europea, tra cui Il chitarrista di Pablo Picasso del 1910, affiancate da lavori di artisti cinesi contemporanei come Zhang Huan e Zao Wou-Ki. Il tutto, a quanto si apprende, preventivamente approvato dalle autorità locali. Al di là della collezione, con una selezione di opere piccole e in sovrannumero, è ad ogni caso il museo a convincere sino ad un certo punto, sia all’esterno per la scelta dei materiali e dei colori, sia all’interno per il dimensionamento delle sale e l’assenza pressoché totale di personalità.
IL PROGETTO ARCHITETTONICO
Sviluppato dai professionisti dello studio guidato dall’architetto britannico David Chipperfield – coinvolte, in particolare, le sedi di Pechino e Berlino -, il museo dispone di circa 25.000 metri quadrati di spazi. Sorge all’interno di un distretto industriale dismesso della città, lungo la riva settentrionale del fiume Huangpu, attualmente in corso di profonda rivitalizzazione. Grazie anche a istituzioni come Long Museum West Bund, il Museo Yuz e il Centro di fotografia di Shanghai e a ulteriori luoghi di rilievo artistico, quest’area sembra proiettata verso un ruolo di primo piano nell’offerta culturale della città. Lo attesta anche la contemporanea apertura della fiera WestBund Art & Design, in corso fino al 10 novembre: questo infatti è a Shanghai anche il weekend delle fiere d’arte contemporanea. Oltre a WestBund c’è anche Art021, in un edificio storico più centrale. La struttura include tre gallerie, sistemate in altrettanti distinti volumi a forma di scatola, un auditorium, un negozio, un servizio di caffetteria e altre aree. Il museo sarà in grado di affiancare al format delle mostre a lungo termine due esposizioni temporanee all’anno. Chi si aspetta edifici spettacolari e mostre spettacolari però potrebbe restare deluso.
Fonte: Artribune.com – Valentina Silvestrini e Massimiliano Tonelli
Tre chiavi per capire Ibiza
DALT VILA
Arroccato su una piccola montagna a ridosso del mare e dominante la città, c’è il centro storico fortificato di Dalt Vila che si traduce in “Città più Alta”. Fondata dai Fenici, questa struttura si estese a seguito di svariati regni ed un tempo era una delle più importanti città costiere del Mediterraneo.
Meravigliose vedute panoramiche, tesori storici, misteri e scoperte che abbracciano ben 2.500 anni, tutto custodito all’interno di questo sito dichiarato Patrimonio Mondiale UNESCO.
Molti non sanno che Ibiza, oltre ad essere il nome dell’isola, è anche il nome di uno dei cinque comuni dell’isola che svolge anche il ruolo di capitale amministrativa ed economica. La città di Ibiza, conosciuta anche come “Eivissa” per i cittadini parlanti il catalano, è diventata una delle destinazioni più visitate di Spagna da parte del turista internazionale, attratto soprattutto dalle sue calette e dall’atmosfera festosa dell’isola.
Questa isola delle Baleari, possiede anche le giuste caratteristiche che giustificano una stupenda visita culturale nella capitale storica.
In città vi alberga un centro storico muragliato del XVII secolo, conosciuto come Dalt Vila. Ci si perde piacevolmente nelle sue strade strette del centro, con pittoresche case bianche, che giungono sino alla parte più in cima della località, ove si può godere di panoramiche mozzafiato.
Osservando giù dai bastioni della Cattedrale di Nostra Signora delle Nevi, si possono ammirare splendide viste panoramiche della città, il porto e il mare che si estende fino a Formentera, l’isola vicina.
Nella piazza situata di fronte la cattedrale vi è il Museo Archeologico, che custodisce diverse collezioni di epoca fenicia e cartaginese, altresì reperti provenienti dalla necropoli di Puig des Molins.
La Marina, la zona a ridosso del porto, è colma di ristoranti, bar, negozi prestigiosi, che si accostano ai lussuosissimi yacht ancorati sui moli.
Ibiza non solo seduce per i suoi paesaggi, per il clima, per i suoi abitanti, ma anche perché offre un’ ottima gastronomia in location situate sul lungomare, in siti storici, in mezzo alla campagna, il tutto, magicamente sotto un cielo stellato.
Avrai il privilegio di gustare prodotti naturali nel luogo esatto in cui maturano. Godrai del relax e dell’atmosfera di libertà dell’isola, proprio nel momento in cui ti verrà servito il risotto con frutti di mare oppure quando gusterai il pesce fresco, rimarrai stupefatto dalla varietà di scelta di specie squisite come la coda di rospo, il tonno, il pesce San Pietro o il pesce pettine.
Ti sorprenderanno il vino di produzione propria, l’olio d’oliva extravergine e il pane contadino, delizie che si trovano in tutte le tavole, e che accompagnano momenti magici ove mangiare equivale ad aver cura del proprio benessere, imparare cose nuove e condividerle con il sorriso.
Ibiza è un viaggio di belle sensazioni. L’eccellente qualità della materia prima si mescola con la tradizione di ricette che giungono con l’originalità di sempre: il sofrit pagès, l’arroz de matanzas, il guisat de peix, la greixonera o il flaò sono pietanze centenarie che trasmettono una cultura e un modo di vivere dove l’essenza è l’incontro tra famiglia e amici, il rispetto delle tradizioni tramandate dagli antenati, la cura dell’ambiente e anche qualcosa di intangibile, come beneficiare dei piaceri del palato.
Ibiza, come la chiamano in tutto il mondo, o Vila, come la chiamano gli abitanti, si trova nella zona est dell’isola. Quando non ci sono i turisti, la città ha circa 40.000 abitanti che vivono in 11 chilometri quadrati e a ridosso di tre spiagge: Ses Figueretes, Talamanca e Platja d’en Bossa.
Ovunque vi sono sorprese e opportunità per scattare fotografie memorabili; questa estesa mescolanza di storia, edifici e mura antiche ti sfida a trovare qualcosa che non sia interessante! Sarà meglio spostarti a piedi.
La vetta di Dalt Vila offre una vista mozzafiato, come anche gli alti bastioni e le diverse panoramiche ammirabili man mano durante la salita. La maestosa porta dell’ingresso principale si trova su un pendìo; per accedervi si percorre un ponte levatoio in pietra attraverso il Portal de Ses Taules che ti permetterà di raggiungere un antico cortile lastricato in pietra.
Entrando, accedi direttamente a Plaza de Vila, o piazza principale, dove sono ubicati molti ristoranti, gallerie d’arte e negozi di prodotti artigianali. Prosegui a sinistra verso Calle Sa Carrosa e arriverai al Bastione di Santa Lucía.
Un’altra entrata, la Portal Nou (raggiungibile dal retro di Plaza del Parque), ha una pendenza più graduale che conduce anch’essa al Museo d’Arte Contemporanea, di fama mondiale. Nei due livelli sottostanti, potrai scorgere i resti di un’antica dimora fenicia. Furono appunto i Fenici a fondare quella che diventò un’impenetrabile città-fortezza dedita al commercio di sale, lingotti di argento e oro nonché prelibatezze come il pesce essiccato e salato.
Qui troverete itinerari escursionistici per esplorare sia la costa che l’interno dell’isola, nonché proposte per godere al meglio della bellezza del paesaggio in tutto il suo splendore.
Ibiza è famosa per i suoi mercati hippy, i mercatini di strada e alimentari e quelli che vendono prodotti di seconda mano. I mercati si svolgono durante tutto l’anno ma la maggior parte di essi prende vita nella stagione estiva.
Hai mai sentito parlare del famoso Mercato Hippy di Ibiza? È una delle principali attrazioni dell’isola e una tappa obbligata per ogni turista. Ma questo non è l’unico mercato che puoi visitare; ci sono molti eventi in tutta l’isola perciò potrai goderti una favolosa esperienza di shopping ovunque tu stia soggiornando.
Ibiza ha profonde radici artistiche che risalgono ai primi anni ’60, quando artigiani, pittori e designer affollavano l’isola per sperimentarne l’atmosfera unica, l’incredibile luce e la libertà di espressione. Tutto questo si esprime attraverso i mercati che si tengono sull’isola, dove si possono acquistare capi di abbigliamento, gioielli e manufatti artigianali.
Il Mercatino del Porto di Ibiza è il mercato più antico dell’isola dal 1974. Condivide la zona destinata al divertimento notturno con ristoranti, bar e negozi di moda dando un colore speciale e offrendo ai numerosi turisti un vero mosaico di prodotti di artigianato e bigiotteria.
Fonte: Ufficio Spagnolo Turismo Roma – tourspainit
Addio Blue Panorama: è Luke Air la nuova compagnia aerea di Patané
Anche Blue Panorama è pronta per essere consegnata alla storia dell’aviazione commerciale italiana. Il nuovo tassello del presidente di Uvet Luca Patanè – proprietario della compagnia aerea charter dal 2017 – per il rilancio del vettore è il totale rebranding. Si chiamerà Luke Air, come dimostrano le immagini del primo aereo scattate in anteprima all’aeroporto di Dublino.
Il nuovo aereo
Il nuovo aereo, un A330-200 in arrivo da Qatar Airways, mostra in anteprima la livrea rinnovata. Sparisce l’azzurro per lasciare posto al giallo e al blu (insieme al bianco). I colori ricordano le nuove divise degli assistenti di volo presentate già un anno fa, segno evidente che il progetto di rinnovamento era nella testa di Patanè già da tempo.
Una stagione battagliata
«Ci apprestiamo a vivere una stagione battagliata e per questo serve tagliare con il passato», aveva dichiarato Patané nei giorni scorsi, senza però anticipare nulla sul piano industriale di rilancio. «Abbiamo bisogno di avere una compagnia aerea attiva e performante tutto l’anno». La presentazione ufficiale è attesa al bizTravelForum che si terrà il 20 e 21 novembre a Milano.
Fonte: malpensa24.it – Gabriele Ceresa