Non c’è nessuno qui. E sembra che nessuno sia mai stato qui...
Questa è White Bay, un banco di sabbia segreto al largo della costa occidentale di Great Exuma alle Bahamas, una spiaggia appena uscita da uno spot, una spiaggia che diventa interamente tua nel momento in cui fai il tuo primo passo.
Puoi arrivarci solo prendendo un charter di pesce osseo, ma quando lo fai, ti sentirai come se fossi arrivato su un’astronave.
C’è una qualità ultraterrena qui, il tipo che senti quando l’unico suono che percepisci è il suono del nulla.
Questo è un posto meraviglioso, etereo, sbalorditivo. Questa è White Bay. Guarda il video e crederai di essere lì!
Fonte: caribjournal.com
Questo nuovo parco nazionale australiano è un paradiso della biodiversità marina
L’Houtman Abrolhos Islands National Park è il parco di più recente istituzione della Western Australia, a cui è stato conferito questo status ufficiale in concomitanza con il 400esimo anniversario da quando il navigatore olandese Frederick de Houtman ha avvistato per primo questa catena di isole. L’arcipelago è composto da 192 isole, isolotti e affioramenti rocciosi a largo della costa medio-occidentale dell’Australia, il cui parco nazionale è costituito da 105 tra le isole circondate da corallo tropicale e acque cristalline e incontaminate.
Il nome del parco è stato annunciato nel 2017 e un budget di 10 milioni di dollari è stato accantonato per due anni (2019 al 2021) per sviluppare un progetto di turismo sostenibile per la regione. Il denaro viene utilizzato per creare strutture per i turisti e per supportare il turismo sostenibile nel parco nazionale. È il primo parco nazionale creato secondo l’iniziativa Plan for Our Parks del governo McGowan, che secondo il Dipartimento della Biodiversità, Conservazione e Attrazioni mira a istituire almeno 5 milioni di ettari di nuovo patrimonio di conservazione nei prossimi cinque anni.
Le isole godono di acque calde tropicali grazie al flusso della corrente Leewin, che gioca un ruolo importante nella flora e fauna marina dell’isola. La destinazione è ricca di biodiversità, con un alto numero di specie tropicali e temperate.
“L’Abrolhos è intriso di storia. È il sito di 19 naufragi storici, in particolare la Batavia, che è una delle storie più agghiaccianti di ammutinamento nella storia australiana. Le isole hanno un ambiente unico e straordinario, ricco di biodiversità. Inoltre, l’Abrolhos è una delle zone di riproduzione di gabbiani più importanti e grandi in Australia, ospita anche diversi animali che non si trovano da nessun’altra parte, tra cui la quaglia tridattila di Houtman Abrolhos e lo skink pigmeo dalla coda spinosa”, ha dichiarato a Lonely Planet un portavoce del Dipartimento della Biodiversità, Conservazione e Attrazioni.
Le isole sono raggruppate nelle tre zone principali di Wallabi, Easter e Pelsaert. I visitatori possono fare escursioni giornaliere nel parco nazionale, sebbene molte isole abbiano accesso limitato a causa delle acque basse. Le attività includono snorkeling, nuoto ed escursioni nel bush.
Fonte: lonelyplanetitalia.it – James Gabriel Martin
Alla scoperta della più vasta prateria degli Stati Uniti, la Little Missouri National Grassland del North Dakota. Uno spazio infinito aperto all’esplorazione naturalistica in libertà
Quando si pensa ai paesaggi americani, spesso ci si immaginano vaste praterie, distese infinite d’erba e cespugli bassi e mandrie al pascolo. Le praterie hanno giocato un ruolo importante nella storia del North Dakota ed oggi queste distese d’erba ci ricordano il patrimonio della vita rurale e pionieristica. Al contempo, però, ci consentono di godere della sensazione di libertà e di pace di vasti spazi aperti. Intraprendiamo quindi un viaggio esplorativo in questi ambienti naturali del North Dakota.Vale la pena narrare l’origine della prateria nel North Dakota. Prima dell’arrivo dei coloni nel tardo ‘800, il North Dakota veniva descritto come una grande distesa ininterrotta di praterie pressoché prive di alberi. I paesaggi descritti nei racconti di viaggio dei primi esploratori sono sensibilmente cambiati ed anche in North Dakota si stima che circa il 50% delle praterie originali siano state convertite a campi coltivati, strade ed altre infrastrutture.
Il North Dakota si trova nel cuore della regione chiamata Prairie Pothole Region, nella zona settentrionale delle grandi pianure che include buche, zone umide poco profonde create dal ghiacciaio Wisconsinan. La maggior parte del paesaggio del North Dakota è stato forgiato da questo ghiacciaio che circa 40.000 anni fa è entrato dal Canada ed ha coperto il North Dakota interamente ad eccezione del sud-ovest. Il Wisconsinan per 28.000 anni è avanzato e poi si è ritirato, agendo come un gigantesco bulldozer, scavando la terra e muovendone masse enormi. Quando poi 12.000 anni fa si sciolse, aveva cambiato radicalmente il territorio lasciandovi depositi in varie zone, formando colline e milioni di buche. Col tempo si formarono praterie e pianure d’erba.
I cacciatori di pelli francesi e gli esploratori che perlustrarono queste zone nel 1700, osservarono che queste terre assomigliavano ad un “mare d’erba”, usando la parola francese “prairie” nel descriverla. In effetti le pianure erbose si svilupparono nel North Dakota a causa delle scarse precipitazioni piovose. Un’ erba tra le più conosciute delle pianure del North Dakota è la western wheatgrass (gramigna). Questa robusta pianta nativa un tempo copriva quasi tutto il North Dakota; la si trova ancora in ogni angolo dello stato tanto da essere dichiarata erba ufficiale del North Dakota.
L’habitat delle praterie è di gran beneficio per molte specie animali terrestri, anzi più di quanto non lo siano le foreste di pini in montagna. Nel North Dakota è impressionante il numero di avifauna che nidifica sul terreno e dipende dalla prateria. Animali da pascolo quali il bisonte, il cervo, il coniglio, i cani della prateria (prairie dogs) sono vitali per mantenere le pianure sane. Uno dei più importanti e maestosi “dominatori delle praterie” era il bisonte americano. Milioni di bisonti coprivano le pianure, ed ogni animale si nutriva di 13 kg d’erba al giorno. Il bisonte di cui si parla è parte della stessa famiglia del manzo e delle pecore e non ha nulla da spartire con la famiglia dei bufali asiatici o africani. Oggi lo si trova all’interno del Theodore Roosevelt National Park nel North Dakota occidentale.
I prairie dogs ed altri animali hanno aiutato la prateria scavando un sistema immenso di tunnel sotterranei, che consentono all’aria ed all’acqua di penetrare nel suolo, a beneficio delle radici delle piante. Molte specie selvatiche e gli insetti dipendono proprio dall’erba delle praterie, ad esempio la Farfalla Monarca oppure il Western meadowlark (allodola occidentale), specie iconica tanto da essere adottato quale uccello simbolo del North Dakota. Anche l’urogallo dalla coda affilata (Sharp-tailed grouse) è un altro esemplare nativo del North Dakota mentre il gheppio americano, della grandezza di un pettirosso, è il più piccolo falco del Nord America ed il rapace più comune in North Dakota.Le piante delle praterie, per lo più perenni, tornano di anno in anno a macchiare con colori accesi l’intera stagione. La prima fioritura del North Dakota delle praterie è il crocus selvatico, chiamato anche pasque flower, wild crocus, wind flower, May flower. Una leggenda indiana gli affida il potere speciale di risvegliare le altre piante a primavera. La rosa selvatica della prateria è il fiore ufficiale del North Dakota (wild prairie rose) ed il suo frutto veniva usato dai nativi indiani quale cibo e medicamento per molti malanni.
Tutta questa natura è lo scenario che si presenta nel Little Missouri National Grassland, un parco-pascolo nazionale situato nel Nord Dakota occidentale con oltre un milione di acri: la più grande prateria negli USA. Incastonato all’interno dei suoi confini si trova il Theodore Roosevelt National Park. Questa grande riserva è l’ultimo autentico lembo di prateria che si presta a camminate, fotografia, avvistamento della fauna selvatica. Scorre parallelamente tra la U.S. Route 85 ed il confine del Montana situato ad ovest ed il South Dakota a sud. Vi si trovano campeggi ed ogni opportunità di svago all’aperto. Qui una linea di splendidi pioppi domina le sponde del Little Missouri River ed illumina la giornata del North Dakota. È ideale imboccare in bici o a cavallo il Maah Daah Hey Trail per provare l’esperienza della vera prateria. Questo sentiero nella natura attraversa il parco da nord a sud ed è lungo 232 km, con ottima segnaletica con il simbolo di una tartaruga. Costante, paziente e determinata la tartaruga fu icona adottata dagli indiani Lakota Sioux. Maah Daah Hey è un nome nativo indiano e le sue radici affondano nella lingua delle tribù native Mandan Hidatsa del North Dakota.
Denver, Colorado è la porta d’accesso ufficiale all’immensa regione del Great American West.
Fonte: The Great American West – Italia
Attraversare il deserto del Sahara di corsa: la Marathon des sables
Pensare al Marocco suscita in me un mare di sensazioni e ricordi: gli ambulanti che vendono scimmie, serpenti e coltelli, i sacchi pieni di spezie, le fragranze e i profumi, così diversi da quelli della mia natia Virginia. Non ho mai capito perché ciò che ricordo del Marocco sia soprattutto questo; in fondo ho dedicato il 99% dei miei 40 giorni in questa regione a quella che si può descrivere solo come una deprivazione sensoriale nel bel mezzo del Sahara, la Marathon des Sables.
Marocco, per me, è sinonimo di Marathon des Sables, la massacrante corsa a tappe di sette giorni e 240 km che si corre nel deserto nordafricano con temperature medie che sfiorano i 40 °C. Negli ultimi 10 anni l’ho corsa due volte, nel 2009 e nel 2010, quando mi sono addirittura classificato terzo. Dopo tre anni come ultrarunner sponsorizzato – e dopo aver corso anche la Badwater 135 e la Barkley Marathons – la MdS resta una delle corse più dure cui abbia mai partecipato. Forse perché la prima volta, nel 2000, ero sostanzialmente un ‘guerriero della domenica’ senza alcuna esperienza. La distanza più lunga che avessi mai percorso erano gli 80 km della JFK 50 Mile. Allora mi piaceva tirar tardi la sera e correvo meno di 80 km a settimana, meno di una qualsiasi tappa della MdS. Ma questa è stata l’edizione della MdS che più mi è rimasta nel cuore.
Ero terrorizzato. Avevo già sperimentato corse a tappe vicino a casa, ma questa, in un paese esotico e distante, mi affascinava. La ‘maratona delle sabbie’ fu ideata nel 1986 da Patrick Bauer, un francese che dopo aver attraversato a piedi il Sahara trovò l’esperienza così rivoluzionaria da volerla condividere con altri.
Era la mia prima volta in Africa. Alla vigilia di una gara è normale provare una certa agitazione, ma non aiuta se ogni giorno alla partenza gli organizzatori ti sparano ‘Highway to Hell’ degli AC/DC a tutto volume. La corsa vera e propria inizia con una tappa ‘facile’ di 30 km su ondulate alture dal fondo sterrato duro e compatto, tranne che per un breve tratto di dune di sabbia. Arrivato in fondo a questa prima frazione – impolverato, sporco, affamato ed esausto – mi chiesi se davvero esistesse qualcuno in grado di tagliare il traguardo finale. Avevo fatto molti errori, come per esempio non tener conto della sabbia e fermarmi troppe volte per toglierla dalle scarpe.
Il cameratismo tra runner fu la mia ancora di salvezza. Rientrando in tenda dopo quella prima giornata, sapevo di poter contare su qualche prezioso consiglio da parte dei miei compagni. I veterani sono stati fondamentali nell’insegnarmi a restare fresco di giorno e caldo di notte, a gestire le poche calorie, andare in bagno e dormire sotto una tenda affollata. L’atmosfera era quella goliardica di un campo estivo, anche se la conversazione pareva sempre tornare alla ‘lunga giornata’. Ci aspettavano altre tre tappe, ma se non avessi messo a punto una strategia, non ce l’avrei mai fatta.
I berberi che ospitavano le nostre tende vestivano come i Sabbipodi di Guerre stellari ma senza averne l’aspetto minaccioso: erano sempre sorridenti e con un lampo negli occhi. Una sera, dopo esserci sistemati per la notte, il cielo si riempì di stelle e il bagliore surreale della Via Lattea ci lasciò basiti.
I giorni di gara successivi furono una vera e propria batosta. Coprivamo distanze di 30-40 km su terreni che dalla sabbia di dune alte due piani passavano alla polvere di letti fluviali inariditi chiamati wadi. A tratti le sabbie mobili ci afferravano i piedi, un secondo dopo il pietrisco ci sbriciolava le scarpe. La percezione della distanza era distorta dal fondersi di una duna in quella successiva. Eppure, poco alla volta cominciai a innamorarmi della vastità di questi panorami.
Il terzo giorno la fame prese il sopravvento. Visibilmente deperito per carenza di calorie, sentii un runner spagnolo gridarmi: “Bebe! Come!”. Conosco poco lo spagnolo, ma era evidente che mi stava esortando a bere e mangiare.
Il quinto giorno – il più lungo – è cruciale. Dicono che una volta superato questo scoglio hai la certezza di farcela. È una tappa di quasi 80 km da completare in appena 48 ore. Quel giorno era il mio venticinquesimo compleanno: ero il secondo runner più giovane del gruppo. Malgrado la partenza lenta fu una corsa perfetta, di quelle in cui tutto fila liscio. Le temperature erano dolci e il vento pareva una carezza gentile. Guidavo il secondo blocco di runner e al traguardo mi piazzai primo tra gli americani.
Le ultime due tappe sono maratone di 42 km su terreni clementi e relativamente pianeggianti. È a questo punto che si inizia a festeggiare, per la sensazione di avercela quasi fatta e perché sai che nulla ti impedirà di tagliare il traguardo. All’arrivo ci misero in mano una bibita fresca mentre l’orchestra suonava.
Mi sentivo confuso e lucido al tempo stesso. Pensavo alle montagne, alle vallate, al bianco abbacinante delle distese di sale e ai sassi neri affilati che mi avevano distrutto i piedi. Dopo tanti anni di corsa, tante gare eccezionali, la Marathon des Sables resta una delle mie preferite. È un’esperienza formidabile per i neofiti delle corse a tappe.
Ho imparato che conquistare un traguardo di questa portata fa sembrare più raggiungibile ogni altro obiettivo nella vita, si tratti di una corsa o di qualsiasi altra sfida. Correre la MdS mi ha regalato una fede smisurata nelle mie capacità.
Fonte: lonelyplanetitalia.it – Michael Wardian
Maldive: dieci idee per godersi al meglio le isole del paradiso.
Dal fantastico snorkeling tra i coralli ai massaggi subacquei, dall’adrenalinico flyboarding ai matrimoni “pieds dans l’eau”
Le Maldive sono nell’immaginario collettivo il luogo d’eccellenza per gli amanti del relax, della natura e delle immersioni. Merito dei suoi panorami mozzafiato, delle barriere coralline dai colori caleidoscopici, della sabbia bianca e finissima e delle acque turchesi e poco profonde. Un vero e proprio sogno ad occhi aperti che invita al relax. Ma alle Maldive ci sono anche tante altre cose da fare. Ecco una selezione.
Snorkeling safari – Grazie alle acque trasparenti delle lagune e alla ricchissima vita sottomarina, lo snorkeling è una delle attività preferite da chi visita le Maldive. La maggior parte dei resort dispone di barriere coralline interne che consentono agli ospiti di nuotare e ammirare un’incredibile varietà di pesci “tuffandosi” direttamente dalla propria camera. Tra i migliori spot: Banana Reef nell’atollo di Malé Nord, Ari Sud celebre per il suo Shark Thila dove è possibile ammirare gli squali e l’atollo di Felidhoo con i suoi spettacolari fondali sottomarini.
Nuotare con le mante – Le Maldive sono uno dei luoghi migliori in cui fare immersioni con le mante, che qui nuotano in gruppo raggiungendo anche le lagune dalle acque meno profonde. A dieci minuti di barca dal proprio resort è già possibile incontrare delle mante che nuotano con grazia intorno alle persone mentre si nutrono dell’abbondante plancton che arriva nell’atollo con le maree. Nuotare in presenza di queste eleganti creature è un’emozione davvero unica. Tra i migliori atolli in cui vivere l’esperienza: quello di Ari e quello di Baa.
Sunset cruise – Le Maldive offrono alcuni dei migliori tramonti al mondo. Uno dei modi più romantici per ammirarli è con una sunset cruise, un’uscita in barca che viene organizzata da quasi tutti i resort e che può essere arricchita da drink e canapé. Tra i resort che organizzano l’attività il lussuoso Velassaru Maldives, situato nel South Malé Atoll, or il Rahaa Resort in Laamu Atoll che propone la crociera a bordo di un dhoni, la tradizionale barca di legno.
Sandbank picnic – Cosa c’è di più romantico che avere un’isola tutta per sé? Alle Maldive è possibile raggiungere un sandbank, una striscia di sabbia bianchissima circondata solo dall’acqua turchese dell’Oceano Indiano in cui godersi uno squisito picnic. I resort e gli operatori che organizzano queste escursioni si prenderanno cura della ristorazione e di tutti i servizi per rendere unica l’esperienza.
Maldive eco-friendly – Anche i visitatori possono contribuire a proteggere il delicato ambiente delle Maldive prendendo parte a uno dei laboratori marini e ai progetti eco-sostenibili organizzati dai resort come la replantazione di coralli delle barriere coralline danneggiate o i tour di snorkeling per conoscere e imparare di più sull’ecosistema delle isole.
Relax nelle Spa – Le Maldive non sono solo il luogo migliore per rilassarsi, sono anche la meta perfetta per una vacanza rigenerante. Tante le Spa di lusso presenti nei resort che offrono trattamenti e programmi benessere ispirati a discipline orientali e non solo: la Spa & Ayurvedic del Four Seasons Landaa Giraavaru propone lezioni di yoga e trattamenti ayurvedici; la Spa dell’Anantara Kihavah Maldives Villas offre rilassanti massaggi in una delle suite per trattamenti sull’acqua cullati dalla rumore delle onde e accarezzati dalla brezza marina; trattamenti deluxe nella prima e unica Spa di Clarins alle Maldive al The Residence Maldives Falhumaafushi.
Esperienze sott’acqua – Avete mai pensato di dormire, cenare e provare un massaggio sott’acqua? Alle Maldive anche questo è possibile: nel novembre 2018, presso il resort Conrad Maldives Ringali Island, ha fatto il suo debutto The Muraka che in lingua locale significa corallo. Si tratta di una lussuosa suite di due piani, con la camera da letto situata quasi 5 metri sotto il livello del mare per dormire letteralmente circondati dai coloratissimi pesci che popolano queste acque. Presso il resort Niyama Private Islands Maldives, sei metri sotto la superficie dell’acqua si trova invece il ristorante Subsix un’oasi del gusto sottomarina per pranzi e cene con vista. E per chi vuole provare qualcosa di unico, l’Huvafen Fushi Maldives offre addirittura una Spa underwater la Pearl Spa con cabine per trattamenti immerse tra le meraviglie sottomarine.
Sport adrenalinici – Il flyboarding è uno sport estremo che porta lo sci d’acqua verso una nuova direzione: l’alto. È il sogno di chi cerca il brivido e che permette di volare sopra le onde. Il flyboard è composto da una tavola per i piedi nella quale sono innestati degli speciali stivali collegati a loro volta a una moto d’acqua che riceve la spinta derivante dalla pressione dell’acqua. La potenza del getto deriva dal motore della moto d’acqua che rappresenta la forza propulsiva e permette al flyboarder di arrivare fino a 9-10 metri sopra l’acqua.
Il lato verde delle Maldive – Le Maldive hanno anche un angolo green. Situato nella punta più meridionale delle Maldive, l’Addu Atoll possiede alcuni degli habitat naturali più vari del Paese e ospita una grande e rigogliosa macchia verde. Con la sua geografia unica, l’atollo coniuga perfettamente natura e sviluppo. Ad esempio a Hithadhoo è possibile esplorare una delle più grandi zone umide del Paese: Eydhigali Kilhi, una riserva naturale che ospita diverse specie di uccelli tipici delle Maldive tra cui l’airone di stagno maldiviano, la garzetta e la sterna bianca.
Matrimoni pieds dans l’eau – Il matrimonio è tra gli eventi più importanti nella vita di una persona, e un ottimo modo per renderlo ancora più unico è celebrarlo alle Maldive. Numerosi sono i resort autorizzati a celebrare i cosiddetti “matrimoni simbolici”: una cerimonia senza valore legale, ma che viene realizzata per commemorare in modo molto romantico il legame di coppia, alla quale verrà rilasciato un certificato di sposalizio simbolico. La cerimonia può essere realizzata sulla spiaggia del resort, su un banco di sabbia, in barca a vela o addirittura sott’acqua. È anche possibile celebrarlo con i tradizionali costumi maldiviani e l’accompagnamento musicale di batteristi locali di Bodu Beru.
Fonte: tgcom24.mediaset.it/viaggi
Imbarcarsi sulla nave di Jack Sparrow o ascoltare un brano di zouk a casa fa indubbiamente bene all’umore! Ma i Caraibi, paradiso tropicale, meritano di essere scoperti anche attraverso i grandi scrittori che ne hanno svelato la cultura e
raccontato i destini dei loro abitanti.
Il secolo dei lumi (Antille)
Alejo Carpentier, scrittore cubano di origine franco-russa, scelse per questo favoloso affresco romanzato un titolo da saggio storico. In effetti i personaggi ci fanno rivivere la Rivoluzione francese nell’arcipelago delle Antille, dall’Avana fino a Cayenna passando per Guadalupa. Sotto il fuoco degli inglesi i seguaci di Robespierre diffondono il verbo repubblicano e l’uso della ghigliottina nei Tropici creoli, ridotti in schiavitù. Alejo Carpentier, uno dei maggiori rappresentanti della corrente letteraria del realismo magico, riesce a riportare in vita i sentimenti e gli ideali di quell’epoca. Sotto la sua penna, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo volge alla farsa e alla danza macabra nelle colonie del Nuovo Mondo.
Guadalupa svolge un ruolo da protagonista nel romanzo di Alejo Carpentier per un buon motivo. Fu a Pointe-à-Pitre che il rivoluzionario Victor Hugues emanò, nel 1794, il primo decreto di abolizione della schiavitù, poi ripristinata nel 1802 dall’amministrazione imperiale e definitivamente abolita nel 1848 grazie alle battaglie di Victor Schœlcher, al quale la città ha dedicato un museo. Detto questo, i turisti oggi visitano Guadalupa soprattutto per godersi le sue spiagge idilliache, esplorare le affascinanti isolette Saintes e Marie-Galante e fare camminate nella natura lussureggiante!
Il vecchio e il mare (Cuba)
Questo breve romanzo, l’ultimo pubblicato da Hemingway, narra l’eroica lotta che si svolge nelle acque della Corrente del Golfo tra un vecchio pescatore cubano e un marlin (una specie di pesce spada). Si tratta di una limpida metafora del coraggio dell’uomo di fronte alla natura, cui lo scrittore dovrà in parte il premio Nobel per la letteratura assegnatogli nel 1954. L’uomo che gli ispirò la storia, Gregorio Fuentes, comandante di un peschereccio, morì all’età di 104 anni senza aver mai letto il libro.
Con i suoi 5746 km di coste bagnate da acque calde e pescosissime, Cuba è il paese ideale per dedicarsi alla pesca in mare. Tutti i grandi centri balneari propongono battute di pesca d’altura. L’Avana si presta bene alla pratica di questa attività grazie ai suoi due porticcioli turistici, ma il miglior centro di pesca è Cayo Guillermo, immortalato nel romanzo postumo di Hemingway Isole nella corrente. A giugno vi si svolge una gara internazionale di pesca sportiva. Pesci spada, tonni e squali incrociano al largo. Tutti al mulinello!
L’amore ai tempi del colera (Colombia)
Un fulgido romanzo d’amore, dai toni epici e barocchi. García Márquez firma un altro capolavoro dopo Cent’anni di solitudine, ma questa volta le vicissitudini del protagonista si dipanano in un arco temporale di 50 anni. Alla ne del XIX secolo Florentino, un giovane e povero telegrafista con la passione per la poesia e la musica, si innamora della più bella ragazza della città e le giura amore eterno, ma lei, da brava borghese, finisce per sposare un medico. Al timido corteggiatore non resta che cercare consolazione in altre donne, far fortuna come armatore e dimostrare alla sua amata la forza e la fermezza dei suoi sentimenti: il mirabile ritratto di un uomo che non ha altri interessi che l’amore. Nel 2007 Mike Newell ne trarrà un lm con Javier Bardem nel ruolo di Florentino.
García Márquez non colloca la storia in un luogo preciso, ma tutto lascia pensare che si tratti di Cartagena, un porto colombiano sul Mar dei Caraibi che lo scrittore conosceva bene per averci trascorso la giovinezza. Arricchitasi con la tratta degli schiavi e il commercio dell’oro sotto l’impero spagnolo, la città vecchia, inserita dall’UNESCO nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità, ha conservato imponenti forti cazioni, una maestosa cattedrale e palazzi
in stile andaluso. La Cartagena moderna è oggi una metropoli con oltre un milione di abitanti. È una destinazione scelta da molti turisti americani, le cui navi da crociera ormeggiano al largo: siete avvisati.
Via dalle capanne negre (Martinica)
Joseph Zobel occupa un posto un po’ defilato, ma singolare, nella letteratura creola. Nato a Rivière-Salée, questo scrittore seppe infondere grande sensibilità ai propri ricordi d’infanzia, legati a un quartiere di capanne di Petit Morne dove visse alla metà degli anni ’30. Fornisce, per esempio, un toccante ritratto di sua nonna, M’man Tine, che lavorava nelle piantagioni di canna da zucchero al servizio dei békés, i bianchi creoli che controllavano l’economia locale. Nel 1982 una connazionale di Zobel, la regista Euzhan Palcy, ha trasposto questo libro sul grande schermo, realizzando un piacevole film al quale ha collaborato anche François Truffaut, sempre molto sensibile alle tematiche dell’infanzia. La Martinica, ‘il fiore dei Caraibi’, è un paradiso per i turisti, ma l’isola non offre solamente tintarella e ti punch. Zobel voleva rendere onore all’anima del popolo martinicano. Potete restargli fedeli privilegiando itinerari e sistemazioni che operino nel campo dell’agriturismo e del turismo sostenibile. Sull’isola ci sono numerosi ristoranti, musei, distillerie che rispondono a tali requisiti qualitativi e ambientali.
Texaco (Martinica)
Per ripercorrere il passato della Martinica potete sfogliare qualche libro di storia, consultare un’enciclopedia oppure Wikipedia; date e fatti sono tutti lì, in ordine cronologico. Se però volete rivivere la storia di quest’isola, vederla incarnata in un volto e riascoltarla in una parola tanto immaginifica quanto colorita, allora è in Texaco che dovete immergervi. La storia della Martinica a partire dall’affrancamento dei primi schiavi, al principio del XIX secolo, è ciò che narra questa voce creola, il cui tono muta con il procedere del libro e l’avvicendarsi delle tre generazioni della famiglia di MarieSophie Laborieux, la fondatrice del quartiere di Texaco. Parigi è lontana da quest’isola delle Antille francesi dove le decisioni assunte nella madrepatria hanno un impatto talora imprevedibile, ma la capitale francese si è fatta a sua volta travolgere dall’onda d’urto di Patrick Chamoiseau e gli ha assegnato il prestigioso premio Goncourt.
Texaco prende il nome dai depositi di carburante della nota compagnia petrolifera americana, attorno ai quali fu costruita una bidonville che più tardi divenne un quartiere a tutti gli effetti. Situato nella zona ovest di Fort-de-France, Texaco conserva, come gran parte della città, un carattere molto popolare e rientra in un ambizioso piano di riqualificazione urbanistica intrapreso da Serge Letchimy, l’uomo cui Chamoiseau si è ispirato per tratteggiare l’urbanista del romanzo.
Pirati dei Caraibi – La maledizione della prima luna (Saint Vincent e Grenadine)
Il primo dei quattro film della saga ha riportato in voga la figura del filibustiere grazie a un cocktail ben dosato di humour, fantasy e avventura. Johnny Depp, bandana in fronte, parte all’inseguimento del malefico capitano Barbossa, che si trasforma in morto vivente al chiaro di luna. Dopo il flop commerciale di altre pellicole sui pirati, i produttori temevano un fiasco clamoroso. Da qui la bella sorpresa: un successo mondiale, e Johnny Depp lanciato nel firmamento delle star.
Mentre la grande palude è stata ricreata in California sugli altopiani degli studios Burbank, sede della Disney, le troupe di ripresa hanno setacciato i Caraibi alla ricerca di antichi covi di pirati. A Saint Vincent e Grenadine sono state scovate diverse location per il film, come Wallilabou Bay e i Tobago Cays. Formata da una grande isola, Saint Vincent, e da 30 isolotti facenti parte dell’arcipelago delle Grenadine, questa nazione delle Piccole Antille si presenta come un vero paradiso tropicale, con spiagge incontaminate e scogliere coralline. Sebbene rock star ed esponenti del jet set abbiano ‘privatizzato’ alcune spiagge da sogno, i comuni mortali possono approdare su questi lidi idilliaci grazie a un servizio di traghetti che collega le isole.
Kassav’, Sonjé (Antille)
‘Zouk béton’, ‘zouk love’, ‘zouk variété’ e persino ‘zouk retrò’: Jocelyne Béroard, una delle star del gruppo Kassav’, spazza via tutte le etichette scoppiando in una fragorosa risata: zouk prima di tutto, zouk tout court. Non solo questo termine, ma la musica stessa è frutto del crogiolo culturale delle Antille, retaggio dei sette ritmi del gwoka della Guadalupa, del bélé della Martinica, del kompas di Haiti e via proseguendo fino al rock’n’roll, ed è in continua evoluzione sin dalla sua nascita, alla fine degli anni ’70. Gli strumenti, le influenze e le mode passano, cambiano, i membri dei Kassav’ incidono album da solisti e poi si riuniscono: è questa l’immagine dello zouk, quella di una musica viva e proteiforme, ma al tempo stesso immediatamente riconoscibile. L’ultimo album dei Kassav’, Sonjé, pubblicato nel 2013, è dedicato a Patrick Saint-Éloi, portavoce dello ‘zouk love’.
Lo zouk è diventato uno dei simboli delle Antille francesi, in particolare della Guadalupa e della Martinica, dove risuona ovunque, nei bar e nelle discoteche, sugli autobus e nei piccoli negozi, nei ristoranti sulle spiagge e nei capanni sperduti in mezzo alla foresta. Il miglior momento, musicalmente parlando, per accostarsi a questa cultura è il Carnevale, quando lo zouk e le sue molteplici varianti si esprimono al ritmo delle percussioni dei gruppi di gwoka.
Fonte: lonelyplanetitalia.it
Immergiamoci in alcune località straordinarie: la Slovenia ci aspetta!
5 luoghi fantastici per immergersi nel verde a Maribor restando in città
Bella, vivace, festaiola, e ricca di storia. Questa città slovena, seconda per grandezza solo alla capitale, è una vera bellezza. Adagiata lungo il grande fiume Drava, unisce l’atmosfera carica di storie del passato che si respira nello splendido quartiere Lent, l’antico porto fluviale, o davanti alla famosa colonna commemorativa di piazza Glavni trg, con la vitalità e il movimento tipici di una città universitaria e godereccia.
A Kranj, sulle tracce dell’architetto Jože Plečnik
Difficile trovare, in Slovenia, una cittadina più iconica di Kranj. Sorge ai piedi del Triglav, il monte simbolo della piccola repubblica mitteleuropea: così importante da essere effigiato persino nella sua bandiera; ogni sloveno, almeno una volta nella vita, dovrebbe scalarlo (o almeno così dice la vox populi).
I tesori di Idrija: alla scoperta del Lago Selvaggio
Alcune tra le destinazioni più belle al mondo sono sconosciute ai più. Sono lontane dalle rotte turistiche e ricevono poche, scarne righe sulle guide. La Slovenia, questo “cuore verde d’Europa” che è un grande tesoro culturale e naturalistico della Mitteleuropa, vanta diverse mete di questo tipo. A cominciare dal Divje jezero, il Lago selvaggio custodito tra i boschi che abbracciano la cittadina alpina di Idrija.
Al lago di Bohinj per un’esperienza unica di relax e contatto con la natura
Bohinj è la meta più indicata per regalarsi dei giorni di autentico relax ed escursioni memorabili circondati da paesaggi di una bellezza unica. Perché con il suo splendido lago dalle acque cristalline, Bohinj è una vera gemma incastonata fra le Alpi Giulie, ed è uno dei luoghi più belli della Slovenia. A dominare incontrastata, qui, è proprio la natura.
Il lago di Bled, fra paesaggi meravigliosi e grandi talenti
La località di Bled è nota soprattutto per le sue bellezze paesaggistiche, il suo incantevole lago, il Castello da fiaba che veglia su tutto da uno sperone di roccia a strapiombo sull’acqua. È molto meno conosciuta per aver dato i natali a dei personaggi interessanti per la storia slovena, o per averli accolti per una parte della loro vita. Eppure è così, a Bled sono nate e vissute persone che sono davvero entrate nella storia slovena.
Scoprire Lubiana scivolando sull’acqua
Il fiume Ljubljanica è un punto di riferimento importantissimo nella vita degli abitanti di Lubiana, da ben prima che la città assumesse il suo nome attuale e persino quello che le diedero gli antichi romani, che la chiamavano Emona. Sul colle dove oggi sorge il Castello, e nelle vicinanze del fiume, gli archeologi hanno rinvenuto reperti risalenti persino alla preistoria, molti dei quali sono custoditi nei molti musei disseminati a Lubiana e in tutta la Slovenia.
Alla scoperta dei deliziosi formaggi delle Alpi Giulie
Il viaggio attraverso le bellezze delle Alpi Giulie non può davvero prescindere da un itinerario ben informato attraverso i sapori dei formaggi prodotti da secoli fra i loro pendii e le loro valli. Impossibile, assaggiandoli, resistere alla tentazione di chiudere gli occhi per assaporare meglio tutta la freschezza e il sapore inconfondibile dei formaggi prodotti con il latte di bestiame coccolato quotidianamente, e condotto sui migliori pascoli per nutrirlo.
Fonte: www.lovely-trips.com
Non lontano da Dublino sorge uno dei luoghi più misteriosi d’Irlanda, così particolare da essere ancora oggi un enigma per quanti cercano di decifrarlo: Newgrange. Questo sito è una grande tomba a corridoio parte di una più complessa necropoli neolitica, oggi Patrimonio dell’Umanità, conosciuta col nome di Brú na Bóinne: la sua nascita avvenne ben 600 anni prima di quella delle piramidi egiziane e 1000 rispetto a Stonehenge e ancora oggi non è chiaro il motivo per cui fu realizzato. L’ipotesi più probabile è che questa fosse un’area di sepoltura: eppure si ha il dubbio che sia solo una parte di un qualcosa di maggiormente articolato, perché studi effettuati nel secolo scorso hanno aperto nuovi affascinanti interrogativi.
Come si presenta
Chi si aspetta un qualcosa di imponente rimarrà deluso: il tumulo, infatti, è alto poco più di 10 metri, con un diametro di circa 80 e la parte superiore ricoperta da un manto verde. Un po’ anonimo, ma non bisogna lasciarsi influenzare dalla prima impressione, perché già avvicinandosi si avvertono arcane energie vibrare nell’aria. Newgrange, nelle cui vicinanze ci sono 12 rocce verticali, forse resti di un più ampio cerchio di menhir. È composto da un muro di pietre di quarzo bianche e nere e da un ulteriore cerchio perimetrale di 97 massi: uno di questi è posto di fronte all’ingresso della tomba, quasi a vigilare sul sito, ed è famoso per le incisioni a spirale. La piccola entrata conduce in un ambiente tenebroso e un po’ claustrofobico: uno stretto passaggio di 19 metri porta a una camera centrale a forma di croce, che ospita tre nicchie, ognuna delle quali contiene una vasca in pietra dove si conservavano i resti dei defunti.
Atmosfere suggestive
Ci si sente un po’ come degli intrusi che, rompendo la sacralità, sono stati catapultati in un mondo fuori dall’ordinario fermo a millenni fa. Avvolto dal buio fitto e da un silenzio irreale: non è un semplice sepolcro, ma un vero scrigno di antiche memorie fatto da monoliti incisi che sembrano esser pronti a svelare ogni segreto. Il sito fu scoperto dall’archeologo O’Kelly il 21 dicembre 1967: data significativa in quanto ricorrenza del solstizio d’inverno, evento da sempre intriso di significati mistici per le popolazioni di ogni epoca. È il giorno più breve dell’anno ma, paradossalmente, per Newgrange è il momento del trionfo della luce: le tenebre che, infatti, ne avvolgono l’interno indietreggiano fino a scomparire dinnanzi all’espandersi dei raggi solari, grazie al perfetto allineamento della porta di ingresso rispetto al sole. Così, l’inquietudine dovuta al buio svanisce perché tutto riprende vitalità, quasi come fosse un corpo che si desta da un lungo sonno, ricaricato da misteriose energie che divampano ovunque.
Nuovi interrogativi
Lo spettacolo, però, dura pochi minuti prima che l’ambiente torni a essere avvolto dal buio fino al successivo solstizio. Tutto questo apre le porte a nuove considerazioni: forse il tumulo non serviva solo come tomba, ma era usato anche come calendario o luogo per rituali per celebrare i confini tra vita e morte? Se nell’oscurità erano deposti per il riposo eterno i corpi, la luce era la guida per le anime verso il mondo spirituale? Il tempo passa, i misteri restano: è questo il fascino dell’Irlanda.
Fonte: latitudeslife.com
“Il tempo giusto per visitare questo posto é durante una tempesta d’autunno o d’inverno; un faro o una baracca di pescatori sono l’alloggio migliore
Un uomo può starsene lì e gettarsi tutta l’America dietro le spalle”. Ammirazione e sconcerto del filosofo Henry David Thoreau che e metà dell’800 fece di Cape Cod la sua meta meditativa. Il Cape rimane ancora oggi meta indiscussa dell’anima, lingua di sabbia in bilico sull’Atlantico e luogo di rinnovata scoperta.
Il suo Cape Cod National Seashore è un’area protetta ove sono preservati il litorale, gli ambienti naturali ed alcune strutture di importanza storica della penisola. Tra queste i fari storici. Istituito nel 1961 grazie a John Fitzgerald Kennedy, comprende 176 km² di spiagge, stagni, paludi, dune e aree boschive che si estendono per 65 km tra i villaggi di Provincetown e Chatham. Sei le spiagge balneabili che con i sentieri sono accessibili tutto l’anno. Due i visitor center, Salt Pond ad Eastham (aperto tutto l’anno) e Provinceland Land a Provincetown (stagionale da maggio ad ottobre). La vita nel passato e nel presente di Cape Cod costituisce il fascino di questo parco nazionale affacciato sull’Oceano Atlantico, con il suo ecosistema fragilissimo costantemente sottoposto all’incessante erosione costiera operata dal mare e ai cambiamenti ambientali che ne derivano.
Lunghe spiagge di sabbia, lagune, marcite, laghetti, campi di mirtillo rosso selvatico e sentieri per camminate o pedalate si prestano alla scoperta in qualsiasi periodo dell’anno. Anfibi, rettili, uccelli, volpi, lepri, cerbiatti fanno di questa ecosistema la propria dimora naturale; un habitat preservato per la migrazione e nidificazione di molte specie dell’avifauna, tra queste il corriere canoro. La visita al National Seashore Park è un intreccio di storie di mare, capitani di vascelli, poeti, scrittori ed artisti, e inventori. I fari e le spiagge sono gli interpreti di queste storie di grande umanità e ci accompagnano in un percorso di scoperta all’aria aperta. Inforchiamo la bici, oppure camminiamo per trascorrere primavera ed autunno nel parco, i mesi più belli e meno frequentati dal turismo.
In località Eastham – ove si trova uno dei visitor center – la spiaggia Nauset Light Beach e il sentiero per i tre fari Three Sisters sono immersi in una foresta di pini. Il faro Nauset Light – uno tra i più fotografati nel parco nazionale – è aperto da primavera ad autunno con accesso alla lanterna alta 15 metri. Agli inizi del 1900 la Nauset Light Station con il suo faro e la casa del guardiano, corse il pericolo di essere portata via dalle onde dell’Atlantico. Nel 1996 le tre strutture furono spostate su ruote dalla scogliera all’attuale posizione.
Anche le Tre Sorelle di Nauset – un trio di fari storici così chiamati poiché visti dal mare a distanza apparivano come tre donne vestite di bianco con una cuffia nera in testa – all’origine avevano torri di mattoni che caddero in mare a causa dell’erosione nel 1890, poi sostituite con torri di legno su fondamenta di mattoni nel 1892.
Sulla Coast Guard Beach di Eastham, la Great Beach del filosofo Henry David Thoreau, si può ammirare al meglio il fenomeno erosivo costiero. Qui l’habitat accoglie una miriade di uccelli migratori che vi sostano nel lungo viaggio atlantico, scegliendola per l’inverno e la cova. Per molte specie la sosta di molte settimane è il riposo e il rifocillamento per caricare energia prima del volo verso sud. Si stimano circa 20.000 sterne sulle spiagge del litorale per un birdwatching eccelso tra la spiaggia e la vicina laguna di Nauset Marsh. La migliore stagione è l’autunno. A pochi chilometri a sud, si trovava il cottage dello scrittore Henry Beston. Vi raccoglieva materiali ed ispirazione per il suo libro The Outermost House, pubblicato nel 1928. Il libro descrive bene la vita sulle spiagge durante le quattro stagioni. Ma il mare si portò via questo cottage durante una tempesta invernale nel 1978. Fu proprio qui che approdò il 9 Novembre 1620 il veliero Mayflower partito dalla Plymouth inglese 65 giorni prima. Il Nuovo Mondo dei Padri Pellegrini fu la Coast Guard Beach. Un cambio di vento miracoloso consentì al capitano Jones di dirigere il vascello fuori dai banchi e veleggiare verso nord alla volta del porto di Provincetown Harbor, ove ancorò l’11 Novembre 1620.
La Marconi Beach si trova a meno di 10 km a nord del Salt Pond Visitor Center, a Wellfleet. Una piattaforma panoramica alla Marconi Station offre una veduta eccelsa dell’Outer Cape, con l’oceano e la baia. Il sentiero Atlantic White Cedar Swamp Trail di circa 2 km scende gradualmente nell’ambiente lagunare che ospita cipressi bianchi dell’Atlantico ed aceri rossi. Da questo luogo nel 1903, Guglielmo Marconi portò a compimento con successo la prima trasmissione transatlantica senza cavi tra gli Stati Uniti e l’Inghilterra. Marconi scelse questo posto poiché privo di barriere e su un ripiano elevato sopra l’oceano. Nelle giornate limpide si vede la Cape Cod Bay, e se si è abbastanza fortunati anche lo sbuffo di una balena in mare, oltre al Golfo del Maine e lo Stellwagen Bank National Marine Sanctuary con le sue risorse sottomarine diversificate; poi le foreste e le dune di Province Lands tra le prime terre pubbliche della nazione.
Verso l’estrema sinistra lungo la costa si vede il faro di Race Point Light. Qui si prova un senso di solitudine e silenzio: la scarpata e l’oceano offrono uno scenario naturale ininterrotto in ogni direzione. Il faro dal 1816 – inserito nel National Register of Historic Places – ha servito naviganti e marinai nell’evitare correnti pericolose e le onde sulla punta di Cape Cod. Gestito dall’American Lighthouse Foundation offre alloggio, ma per accedervi si deve camminare sulla splendida costa di sabbia per 45 minuti.
La Race Point Beach si trova vicino al Province Lands Visitor Center. Alla destra del faro si erge la Race Point Coast Guard Station del 1931 e l’edificio di legno marrone del 1898 Old Harbor Life-Saving Station. Questi antichi edifici marittimi ci riportano al passato, quando gli oceani erano vie d’acqua e i naufragi erano costanti. Ai marinai appariva azzardo o paradiso poiché tutte le navi tra Boston e New York dovevano passare nella sua baia protetta oppure incagliarsi tra le sue insidiose barriere di sabbia. Oltre 3000 naufragi in 300 anni di storia. I suoi banchi di sabbia nascosti a centinaia di metri dalla riva, hanno da sempre rappresentato il più grave pericolo. I nativi indiani e le generazioni successive dei Cape Codders hanno sempre prestato aiuto ai naviganti. È nel 1785 che la Massachusetts Humane Society varò il primo servizio di salvataggio in mare esistente al mondo. Nel 1870 esistevano già nove stazioni di servizio di salvataggio organizzato. Un drammatico salvataggio storico del 1952 è stato narrato nel film L’Ultima Tempesta (The Finest Hours, 2016).
Nascosti tra le dune alla destra dell’Old Harbor si trovano una ventina di capanni – i dune shacks – di Peaked Hill Bars. Queste costruzioni rustiche di legno sono le residenze estive e luoghi di contemplazione di artisti e scrittori. La loro storia è associata allo sviluppo dell’arte e della letteratura in America. Strutture primitive prive di luce ed acqua stanno in una relazione intima con l’ambiente delle dune di sabbia: rifugi unici. Sullo sfondo, tra i pini nei rilievi delle dune, sorgono cespugli di mirtillo rosso selvatico che nel passato venivano raccolti dagli indiani nativi. Una rara opportunità è ammirare questo ambiente a bordo delle escursioni 4×4 di Art’s Dune Tour, che opera dal 1946.
Il monumento di granito che si erge su Provincetown è il Pilgrim Monument. Completato nel 1910, è un tributo ai Padri Pellegrini che giunsero dall’Europa a bordo del Mayflower facendo la prima tappa a Provincetown prima di attraversare la baia e creare la Plimoth Colony nell’attuale Plymouth. Cape Cod è testimone della saga umana. Sulla bella spiaggia di Head of the Meadow Beach si sono incagliate così tante navi sui banchi di sabbia tra Chatham e Provincetown tanto che questa sessantina di chilometri marini sono stati battezzati “ocean graveyard” (cimitero dell’oceano). A North Truro si può ancora vedere con la bassa marea il relitto della nave Frances, affondata in una burrasca nel dicembre del 1872.
Il faro più antico di Cape Cod è l’Highland Light a Truro, in fase di restauro con apertura prevista nel 2021. La sua zona rimane aperta alle visite ed offre meravigliose vedute sull’Atlantico così come la casa del guardiano con la sua esposizione. I tour sono accessibili dalla primavera all’autunno. Anche questo faro fu spostato dalla scogliera nel 1996, ma il National Park Service nel proteggerlo si è assicurato che la sua vista ricordasse il famoso dipinto. È il faro che si trovava più prossimo alla casa di Hopper a South Truro. Sempre non lontano dalla casa dell’artista si trova il faro di Long Point Light Station; piccolo antico faro sull’estremità settentrionale della Long Point a Provincetown. Visitarlo é essere trasportati nel Massachusetts del 17° e 18° secolo! Per i marinai segna il punto sud-occidentale dell’entrata al Provincetown Harbor. La Guardia Costiera Americana lo chiama “White Square Tower”; emette una luce verde ogni 4 secondi, visibile a 8 miglia nautiche; se la visibilità è scarsa suona il clacson delle nebbia ogni 2 secondi attendendo la risposta del vicino faro di Wood End Light che accese la sua luce nel 1872. Dalla sua posizione si domina il porto di Provincetown e gli scenografici dintorni. Insieme al Race Point Light questi fari sono raggiungibili solo con camminate a piedi sulla spiaggia.
Fonte: Ufficio Turismo Massachusetts
Tre chiavi per capire Almería: per arrivare al cuore di Almería devi conoscere questi tre elementi
ESSENZA ARABA
Durante il periodo musulmano Almería raggiunse il suo massimo splendore. Il primo Califfo di Córdoba, Adb al-Rahman III, nell’anno 955, dà al borgo marittimo di Al-mariyyat-Bayyana la categoria di medina o città, attratto dal posizionamento strategico della baia come punto di difesa della costa. Ciò attirò i commercianti convertendo Almería in una delle città più popolate della Penisola Iberica. Questo passato bellicoso e commerciale è ancora presente.
ATMOSFERA CINEMATOGRAFICA
Almería è stata la location cinematografica prescelta da grandi registi come David Lean, Steven Spielberg e Sergio Leone, suggestiva per la varietà dei suoi paesaggi che variano da scogliere ricche di leggende marine a montagne e persino a un vasto deserto. Scelta anche per la luce speciale di questa zona della Spagna. La città di Almería ha ospitato anche le riprese di tante scene di film, il più recente “Il Trono di Spade” che ha utilizzato come scenario l’Alcazaba.
SPIAGGE INFINITE
In provincia di Almería si trovano oltre 200 chilometri di litorale con belle spiagge e cale perfette per fare il bagno. In questa zona è garantito per tutto l’anno un clima mite. Ci sono diverse zone interessanti da visitare: Poniente (con complessi turistici dotati di comfort per trascorrere una splendida vacanza), la città di Almería, Cabo de Gata-Níjar e Levante (con incantevoli spiagge alcune ancora vergini). Vi colpirà la varietà dei paesaggi tra i quali spiagge deserte con fondali cristallini, zone di boschive mediterranee e zone desertiche.
COSA VEDERE?
L’Alcazaba, imponente e visibile da ogni punto della città, si cominciò a costruire nell’anno 955 per volere di Adb al-Rahman III, a seguito della fondazione della città. Questo palazzo reale è, dopo l’Alhambra di Granada, la costruzione musulmana più grande della Spagna, con un perimetro murato di 1430 metri. La torre di vigilanza si trovava nella parte più alta del Cerro dell’Alcazaba.
La Medina: è il nucleo originario della città. Adb al-Rahman III la fece chiudere, iniziando la costruzione dell’Alcazaba per la difesa ed una grande moschea. Dall’Avenida del Mar alla via de la Reina si estendevano viuzze (non più di 3 metri) attraversate da strade secondarie, ancora più strette e tortuose, che ora invitano i turisti a perdersi spensierati assaporando secoli di storia nei suoi dintorni.
Gli Aljibes Árabes, in via Tenor Iribarne, risalgono al secolo XI quando il re Jayrán ordinò la sua costruzione per l’uso pubblico visto che in città mancava una rete di approvvigionamento dell’acqua. Se ne conservano tre navate comunicanti, di 15 x 3,5 m, con un volume di acqua contenuto di 630.000 litri, sufficiente per rifornire la città al momento degli assedi.
La Cattedrale: è un’altra meta obbligata per tutti i visitatori. Nel 1522 il vescovo Fray Diego Fernández de Villalán decise la sua costruzione dopo che un terremoto distrusse completamente la precedente. Dà le sembianze più di una fortezza che di un tempio, questa è la sua particolarità. Utile sia per la preghiera che per proteggere la popolazione dagli incessanti attacchi dei pirati berberi. I solidi contrafforti, grosse mura, carenza di vetrine mostrano già un’idea della sua utilità. Nelle vicinanze si trovano il Convento de las Puras e il Palazzo Episcopale.
Il “Cable Inglés”: Eredità dell’attività mineraria che si svolge durante i secoli XIX-XX. Lo sfruttamento delle miniere di Alquife (Granada) e delle montagne della provincia avevano la loro finestra commerciale nel porto almeriense conducendo la ferrovia fino al mare. Così, il caricatoio di minerale (ferro) si trova sulla spiaggia di le Almadrabillas, accanto al molo di levante. Inizialmente era proprietà della compagnia mineraria inglese “The Alquife Mines Railway Limited” che cominciò a costruirlo nel 1902, pur essendo un esempio di Architettura del Ferro degli inizi del secolo XX. Composto da due parti: l’accesso che unisce la stazione ferroviaria con il caricatoio, e il suo molo ove i treni potevano scaricare direttamente nella stiva.
Piazza della Costituzione: anche chiamata Piazza Vecchia, è la piazza più antica della città, dove si respira un’atmosfera carismatica, essendo centro popolare di giochi, feste. In epoca musulmana era una piazza irregolare dove si svolgeva il mercato, raggiunge il suo aspetto definitivo nel secolo XIX, con portici e abitazioni a due piani. La piazza è presieduta dal municipio (fine XIX – inizio XX), il cui orologio della facciata suona la popolare melodia del Fandaguillo di Almería ogni quarto d’ora, e gli accordi completi nelle ore in punto.
COSA MANGIARE?
Almería è stata eletta Capitale Spagnola della Gastronomia 2019, titola che ispira eccellenza nei prodotti e varietà di ricette che combinano tradizione e modernità.
La sua particolare ubicazione, fra il Levante e il Sud spagnolo, arricchisce la sua cucina con elementi comuni ai suoi vicini mediterranei ma allo stesso tempo unici. Inoltre, il tardivo decollo economico favorì la scarsa alterazione degli usi e costumi culinari, con i quali la cucina tradizionale viene mantenuta viva. Da sottolineare fra questa: Migas; i Gurullos, per chi non vuole dimenticare la pasta neanche in vacanza, questa è una specialità almeriense che si prepara con coniglio e lumache, oppure con polipo e calamari o il Cherigan. Per i più golosi, i Pebetes, che si servivano soltanto nei matrimoni e dove la farina, lo zucchero, le uova e il miele sono i protagonisti di questa meraviglia per il palato. Il gambero rosso è una delizia da non perdere, gustabile in ogni momento e in mille modi diversi.
Bisogna passeggiare per assaggiare tranquillamente queste delizie. Camminare per le strade almerienses e lasciarsi inebriare dalla luce e calore che irradiano.
COSA FARE?
Almería è una città attiva dove musei, teatri, attività nautiche sono sempre alternative fattibile. Sicuramente la prima cosa da fare in luogo sconosciuto è scoprire la città, i suoi vicoli e le sue arti, senza dimenticare mai di scambiare qualche parola con gli abitanti per capire la gentilezza e il garbo che li caratterizza.
Le strade pedonali del centro storico permettono il contatto con i resti patrimoniali, testimoni di secoli di storia, mentre che le sue statue e sculture abbelliscono gli spazi con la loro presenza statica ma affascinante. Ad esempio, “La Espera” a Piazza di San Sebastián che invita al relax, o “Las Gárgolas” di fronte al Teatro Apolo che “guardano chi vanno a guardare” (cioè gli spettatori del teatro). Entrambi sculture create da Javier Huercas.
I belvederi che circondano la città, offrono formidabili panorami. Nel Barrio (borgo) Pescadería-La Chanca, originariamente borgo musulmano del Aljibe, si trovano i cosiddetti “Barranco de Greppi” e “Cerrillo del Hambre”, raggiungibili dalla via Cara e dalla via del Hospicio Viejo, una delle più singolari.
Dall’Alcazaba scende attraverso il Barranco de la Hoya la muraglia costruita nei tempi del re Jayrán (1012-1028) che arriva al Cerro de San Cristóbal, altro magnifico belvedere che i Templari di Alfonso VII trasformarono in fortezza-cappella dopo la conquista della città nel 1147.
Fonte: tourspainit.makeyourboard.com