Se non possiamo andare al museo, ora è il museo a entrare nelle nostre case grazie a Internet
Google Arts & Culture
Come dice il direttore della Galleria degli Uffizi, Eike Dieter Schmidt: «Evitiamo ogni contagio, tranne quello della bellezza». Ecco le collezioni e le iniziative speciali da non perdere
«Evitiamo ogni contagio, tranne quello della bellezza»: con queste parole il direttore della Galleria degli Uffizi Eike Dieter Schmidt ha annunciato Uffizi Decameron, un ricco programma di foto, video, storie dedicate all’arte e agli artisti diffusi per la prima volta su Internet per rendere meno pesanti le giornate di isolamento in piena emergenza Coronavirus. Tra le più ricche e strutturate, è una delle tante iniziative dei musei italiani che ora pensano a nuovi modi virtuali per rendere fruibili quadri, sculture, installazioni, incontri con gli artisti che on line ci accompagnano di persona tra le opere delle loro mostre.
COSA SUCCEDE
Tra i primi a rispondere all’appello del ministero per i Beni e le Attività Culturali del Turismo che, alla notizia della chiusura dei musei imposta dal governo per limitare al minimo il rischio dei contagi, ha invitato tutti i protagonisti del mondo della cultura a fare la propria parte sfruttando la potenza di Internet. Le risposte sono state immediate e ora, con gli hashtag #iorestoacasa e #artechecura, alcune tra le maggiori strutture museali diffondono in rete persino inediti contributi digitali che stanno segnando un’inaspettata e repentina evoluzione della fruizione virtuale dell’arte.
La Pinacoteca di Brera, per esempio, in pochi giorni ha creato un palinsesto di video in cui il personale del museo svela i segreti di capolavori e legge fiabe ai bambini, Palazzo Bentivoglio di Bologna ha reso il suo account Instagram una galleria virtuale in cui l’artista Sissi racconta ogni giorno con un’illustrazione come “vestire” il tempo che passa, e intanto il Maxxi di Roma propone contributi speciali anche in Lis e per ipovedenti. Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI, ha detto «Attraverso la dimensione digitale saremo vicini al nostro pubblico, resteremo a casa con lui, per continuare a offrire spunti di riflessione e confronto, per creare comunità, per essere liberi di uscire col pensiero e di dedicarci in questi giorni a pensare e progettare un futuro diverso».
Tutto questo da guardare prima o dopo aver provato i tradizionali tour virtuali offerti da questi stessi musei e da tanti altri nel mondo: dai Musei Vaticani al Louvre, il Museo Archeologico di Atene, il British Museum di Londra, il Prado di Madrid, il Metropolitan di New York, l’Hermitage a San Pietroburgo, la National Gallery of Art di Washington e altri 1200 – per ora – a portata di clic su Google Arts & Culture.
Fonte: vanityfair.it – Fabiana Salsi
Non lontano da Dublino sorge uno dei luoghi più misteriosi d’Irlanda, così particolare da essere ancora oggi un enigma per quanti cercano di decifrarlo: Newgrange. Questo sito è una grande tomba a corridoio parte di una più complessa necropoli neolitica, oggi Patrimonio dell’Umanità, conosciuta col nome di Brú na Bóinne: la sua nascita avvenne ben 600 anni prima di quella delle piramidi egiziane e 1000 rispetto a Stonehenge e ancora oggi non è chiaro il motivo per cui fu realizzato. L’ipotesi più probabile è che questa fosse un’area di sepoltura: eppure si ha il dubbio che sia solo una parte di un qualcosa di maggiormente articolato, perché studi effettuati nel secolo scorso hanno aperto nuovi affascinanti interrogativi.
Come si presenta
Chi si aspetta un qualcosa di imponente rimarrà deluso: il tumulo, infatti, è alto poco più di 10 metri, con un diametro di circa 80 e la parte superiore ricoperta da un manto verde. Un po’ anonimo, ma non bisogna lasciarsi influenzare dalla prima impressione, perché già avvicinandosi si avvertono arcane energie vibrare nell’aria. Newgrange, nelle cui vicinanze ci sono 12 rocce verticali, forse resti di un più ampio cerchio di menhir. È composto da un muro di pietre di quarzo bianche e nere e da un ulteriore cerchio perimetrale di 97 massi: uno di questi è posto di fronte all’ingresso della tomba, quasi a vigilare sul sito, ed è famoso per le incisioni a spirale. La piccola entrata conduce in un ambiente tenebroso e un po’ claustrofobico: uno stretto passaggio di 19 metri porta a una camera centrale a forma di croce, che ospita tre nicchie, ognuna delle quali contiene una vasca in pietra dove si conservavano i resti dei defunti.
Atmosfere suggestive
Ci si sente un po’ come degli intrusi che, rompendo la sacralità, sono stati catapultati in un mondo fuori dall’ordinario fermo a millenni fa. Avvolto dal buio fitto e da un silenzio irreale: non è un semplice sepolcro, ma un vero scrigno di antiche memorie fatto da monoliti incisi che sembrano esser pronti a svelare ogni segreto. Il sito fu scoperto dall’archeologo O’Kelly il 21 dicembre 1967: data significativa in quanto ricorrenza del solstizio d’inverno, evento da sempre intriso di significati mistici per le popolazioni di ogni epoca. È il giorno più breve dell’anno ma, paradossalmente, per Newgrange è il momento del trionfo della luce: le tenebre che, infatti, ne avvolgono l’interno indietreggiano fino a scomparire dinnanzi all’espandersi dei raggi solari, grazie al perfetto allineamento della porta di ingresso rispetto al sole. Così, l’inquietudine dovuta al buio svanisce perché tutto riprende vitalità, quasi come fosse un corpo che si desta da un lungo sonno, ricaricato da misteriose energie che divampano ovunque.
Nuovi interrogativi
Lo spettacolo, però, dura pochi minuti prima che l’ambiente torni a essere avvolto dal buio fino al successivo solstizio. Tutto questo apre le porte a nuove considerazioni: forse il tumulo non serviva solo come tomba, ma era usato anche come calendario o luogo per rituali per celebrare i confini tra vita e morte? Se nell’oscurità erano deposti per il riposo eterno i corpi, la luce era la guida per le anime verso il mondo spirituale? Il tempo passa, i misteri restano: è questo il fascino dell’Irlanda.
Fonte: latitudeslife.com
Quando si parla di Napoli e di vulcani, tutti subito a pensare al Vesuvio, con il suo profilo iconico pigramente appoggiato sul Golfo.
Da sempre temuto per la sua attività, con Pompei ed Ercolano lì a due passi per ricordarne la potenza e la forza distruttrice tutt’altro che sopite. Ma Napoli è appoggiata su una zona sismica ben più complessa e interessante. Se il Vesuvio caratterizza lo skyline della città, sono i Campi Flegrei ad aver diretto la morfologia dell’area, incidendo sulla storia del luogo in modi inaspettati. In un itinerario che mette insieme scavi archeologici, fonti termali, laghi e parchi naturali, scopriamo come una zona sismica abbia disegnato le vicende di un’intera area. Tutte le attrazioni presenti in questo percorso suggerito sono visitabili con il pass campania>artecard, che vi aprirà le porte di tutta la regione.
A immaginarla dall’alto, questa zona sembra una serie di quei cerchi concentrici che si formano in un lago tirando una pietruzza. Soltanto che al posto di una pietruzza dovete pensare alla potenza del magma, e i movimenti dilatarli in ere geologiche. Così facendo potrete visualizzare crateri che si formano, eruttano, franano e si ricoprono di vegetazione verde brillante, e poi ancora e ancora fino alla creazione di un ricamo sismico in costante movimento. Questa danza che sposta su e giù la crosta terreste si chiama bradisismo, ed è il fenomeno responsabile di quel che è accaduto da queste parti. I romani hanno scelto di insediarsi qui perché Capo Miseno offriva riparo alla flotta: merito del vulcano. A Bacoli è possibile ammirare i resti di una città sommersa: merito del vulcano. Il tempio di Giove Serapide emerge e sprofonda nel suolo come un vero e proprio termometro geologico: merito del vulcano.
Baia: sopra e sott’acqua
Il nostro tour parte da Baia, un centro ancora poco conosciuto del golfo di Napoli, ma che grazie a un mix inusuale di geologia, archeologia, tramonti e una voglia di emergere sostenibile e creativa dovrebbe diventare un punto fisso del vostro prossimo tour partenopeo.
Recatevi dapprima al Castello che, costruito sul promontorio, domina tutto il Golfo di Pozzuoli fino a Procida, Ischia e Cuma in una posizione strategica per gli Aragonesi che lo costruirono nel 1495, ma anche per i visitatori che possono tutt’ora, con un solo sguardo, abbracciare un paesaggio che toglie il fiato. Passeggiate per le sale ariose del Museo archeologico dei Campi Flegrei, che si sviluppa su due piani del castello, dove sono esposti i resti di Pozzuoli, di Cuma e della parte sommersa di Baia, sono organizzate mostre temporanee e sono conservati il Sacello degli Augustali di Miseno, i gessi ritrovati alle terme di Baia, dove è stato rinvenuto l’unico atelier noto di copisti romani (per intenderci, i maestri nel comporre statue che avessero i corpi della Grecia classica e unirli con il volto orgoglioso del committente) e il pezzo forte: il Ninfeo di Punta Epitaffio, scoperto sott’acqua proprio a Baia.
Ma attenzione, se pensate che il castello sia una struttura grandiosa, è perché non avete la stessa fantasia e la stessa grandeur che avevano i Romani. Pare, infatti, che proprio in questo luogo sorgesse la villa di Cesare: ne parla Tacito, ma soprattutto ne parlano i muri. Recenti scoperte hanno portato alla luce alcuni affreschi che risalgono alla fine del primo secolo avanti Cristo, oltre che a una stanza dai preziosi pavimenti a mosaico che conferma questa teoria. Ma non solo gli elementi del Ninfeo sarebbero stati la facciata di chi approcciava la villa via mare: si trattava di un edificio costruito come una quinta teatrale di tre piani, decorate con statue e colonne. Un trionfo di marmo a sancire il potere del padrone di casa.
Proprio questa prima parte di statue è quella che è stata sospinta sott’acqua dai movimenti sismici della zona e che, a causa di un distacco della faglia, non è più riemerso (come invece è accaduto ad altre aree). Ma cosa vuol dire per un visitatore? Che è possibile ammirare le statue e la pavimentazione del Parco Sommerso di Baia, sia con una pratica barca dal fondo trasparente, dove sarete accompagnati dalla spiegazione dei ritrovamenti, sia con uscite di snorkelling e immersioni. Un’occasione unica per unire escursioni in acque protette e guardare con occhi (o maschere) nuove alla storia del luogo.
Sulle tracce della Sibilla
Un altro luogo che unisce il mistero della storia, il fascino del mito e la bellezza del paesaggio è Cuma. Prima colonia greca d’occidente, deve la sua fondazione al fatto che i Greci frequentassero Ischia, ai tempi un vero e proprio “mercato”, dove i commerci avevano la priorità sulle guerre. Ma poco più a Nord la colonia di Cuma segnava il confine e rimarcava la presenza della grande potenza anche su questa costa del Mediterraneo, controllando il confine con gli Etruschi.
In questo sito, abbandonato dal 1207, la terra continua a regalare scavi archeologici che, proprio come un libro, raccontano storie, strato dopo strato, pagina dopo pagina. La protagonista principale è indubbiamente la Sibilla Cumana, che dal suo antro cupo e misterioso (sentirete sicuramente qualche brivido nell’avvicinarvi al sito del suo trono, ma potete sempre incolparne i venti) rilasciava responsi su foglie di palma, che le correnti sparpagliavano e i condottieri e i governanti avrebbero interpretato, cambiando le sorti della Storia. E poi i templi di Apollo e di Giove, chiese e cimiteri di epoca medievale, la via sacra, le torri bizantine e magnifiche tombe dipinte (una ottimamente conservata si trova al Museo archeologico dei Campi Flegrei).
Preparatevi ad avere un ricordo indelebile di questo parco archeologico, un ricordo verde e blu: la veduta dalla terrazza abbraccia la pineta incontaminata della costiera Domizia, dove il fulgore della natura non fa che ricordarci che siamo su un vulcano, fertile, temibile e bellissimo.
Scovare il vulcano che non esiste
Il castello Aragonese, Baia sommersa, l’utilizzo che fecero i Romani delle acque calde, e la loro sistemazione in determinate aree, oltre che la configurazione paesaggistica: tutto è legato al fenomeno del bradisismo e a un vulcano che sembra invisibile. Ma i Campi Flegrei sono vivaci e, una volta imparato a osservarli, troverete la loro presenza molto più evidente.
Iniziate dal tempio di Giove Serapide, a Pozzuoli. Si tratta di un monumento più geologico che archeologico, nonché il termometro del fenomeno studiato qui sin dal 1800. Questo mercato pubblico fu costruito nel primo secolo dopo Cristo, ma la cui pavimentazione fu ricostruita già nel secolo successivo perché sprofondava. Questo perché quando la caldera del vulcano si riposa, sprofonda, e quando si attiva, risale. Si chiama fenomeno di risorgenza e i Campi Flegrei sono conosciuti in tutto il mondo per il bradisismo, testimoniato qui da secoli. Vedere per credere: cercate le 3 colonne di marmo che nella parte bassa sono consumate dai litodomi, i datteri di mare che vivono a pelo d’acqua. Significa che lì c’era il mare, perché è sceso il suolo. Non si parla di centimetri, ma di sette metri nel punto più alto.
Il fenomeno è tutt’altro che estinto: dal 2005 il terreno si sta risollevando: 50 cm dal 2011 con poca attività sismica e molto lentamente. Potrete notarlo voi stessi indagando le formazioni di muschi sugli scogli, tra un tuffo e l’altro.
Se ancora non credete di trovarvi in mezzo a un complesso sistema di vulcani fate attenzione ai palazzi: il tufo giallo con cui è stata costruita Napoli è tutta roccia vulcanica. Utilizzate campania>artecard anche per spostarvi nella zona (il trasporto è incluso ed è possibile viaggiare illimitatamente sulla rete integrata dei trasporti UNICOCAMPANIA). Ecco i punti che vi consigliamo:
L’Eremo dei Camaldoli Costruito a 430 metri, ha una terrazza affacciata su una scarpata di 150 metri con pareti di tufo giallo da cui si vede il Vesuvio, il Vomero e la caldera.
Solfatara Attualmente non aperta al pubblico, ma è possibile intravedere le fumarole passando lungo il perimetro: proprio come in Islanda o a Yellowstone vedrete il potere della terra risalire sotto forma di vapori.
Riserva Naturale Cratere degli Astroni Un’oasi WWF caratterizzata da una flora e fauna specifiche e dove si trovano tre laghetti. Il tutto in un cratere vulcanico.
Rione Terra Quest’area abbandonata di Pozzuoli, mantiene un fascino precario, legato alla sismicità della zona. Passeggiate qui prima di concedervi un aperitivo alla Maison Toledo e godere di un tramonto senza eguali.
Fonte: lonelyplanetitalia.it – Giulia Grimaldi
Ana Kai Tangata – Grotta del Cannibale
La grotta dal nome minaccioso, Grotta del Cannibale, ospita alcune straordinarie opere d’arte antiche.
Sulla remota isola di Rapa Nui – Isola di Pasqua – i dipinti a base di olio di squalo della Cannibal Cave sono spesso trascurati. Ma il sito misterioso vale il breve, sebbene insidioso, trekking.
Il nome nativo di questo sito è Ana Kai Tangata, che si traduce liberamente in “Cave Eat Man” e può essere interpretato in diversi modi. È stato proposto che il nome della grotta potrebbe significare “grotta dove mangiano gli uomini”, “grotta che mangia gli uomini” o “grotta dove si mangiano gli uomini”. Rapa Nui ha una ricca storia di guerre tribali, esaurimento delle risorse, spiritualismo e carestia, quindi le storie di cannibalismo sono comuni.
Visitare Cannibal Cave non richiede troppo tempo, ma è una zona straordinaria dove soffermarsi a guardare le onde che si infrangono ripetutamente contro le scogliere. Man mano che si scende seguendo i gradini più o meno scolpiti, si inizia a vedere antiche immagini dipinte di navi e uccelli sacri. Una visita alla grotta è resa più toccante dal fatto che i dipinti stiano svanendo.
C’è anche un “gemello malvagio” della Grotta del Cannibale a pochi passi a sud che è però inaccessibile. L’affioramento di roccia vulcanica che separa le due grotte è un ottimo punto di osservazione per contemplare le onde mozzafiato. Le onde dell’oceano rotolano e si infrangono nelle enormi nicchie con una forza impressionante e inviano cascate di acqua schiumosa lungo le pareti e nel bacino blu cristallino. Vedere il potere del Pacifico contro la costa frastagliata di questa isola remota offre una grande prospettiva sulla resilienza del Tangata Manu, che era il vincitore che nuotava nelle acque nelle loro competizioni rituali.
C’è un piccolo parcheggio lungo Policarpo Toro, che è la strada che porta al vulcano Orongo e alcuni cartelli in legno che guidano la strada per la grotta.
Fonte: atlasobscura.com
Chiuso dal 2017 per restauro, ceduto dal gruppo Hilton al colosso cinese Anbang, lo storico albergo nel cuore di Manhattan rinascerà in una nuova configurazione extralusso che comprenderà 375 residenze private.
Le foto!
Fonte: tg24.sky.it
Dal tramonto sulla spiaggia di Santa Monica passando per l’Alaska, tra orsi e paesaggi ghiacciati, fino ai cieli canadesi per ammirare l’aurora boreale e molto altro ancora. Con centinaia di webcam in tutto il mondo il sito explore.org ci regala la natura più bella
Se l’accesso al mondo, là fuori, è temporaneamente «sospeso», questo non vuol dire che non si possa comunque viaggiare (virtualmente). Basta un pc e una buona connessione per farlo. Ad aprire la finestra per ammirare in diretta l’aurora boreale, o per sbirciare un ippopotamo mentre fa il bagno nella savana africana o, ancora, per scoprire il frenetico via vai dei mille pesci colorati nel cuore degli oceani ci pensa explore.org.
Grazie alle numerose webcam, posizionate in oltre 160 luoghi del pianeta e monitorate da centri di ricerca, parchi, associazioni ambientaliste, istituiti scientifici, associazioni no-profit, la piattaforma permette di vedere live quello che accade in quel preciso punto del mondo.
Un viaggio virtuale, anche h 24 per i viaggiatori incalliti e incontentabili, che con un clic offre la possibilità, ad esempio, di volare in Sudafrica, all’alba, per guardare giraffe ed elefanti mentre si abbeverano, e poi atterrare sulla spiaggia di Santa Monica giusto in tempo per godersi il suo inconfondibile tramonto. Nulla vieta poi di ripartire un’altra volta, magari in direzione Alaska per vedere da vicino orsi e distese immense di ghiaccio, prima di rifare le valigie per la prossima meraviglia: l’aurora boreale dei cieli canadesi.
Ma la piattaforma online, soprannominata anche «Netflix of live Nature» non si limita a dare sguardi casuali sul mondo. Ogni contenuto porta con sé la spiegazione dettagliata di quello che sta accadendo, offrendo curiosità, informazioni, consigli riguardo gli orari ideali per assistere a momenti clou (anche la natura ha i suoi tempi!), oltre alla possibilità di accedere a una community per scambiarsi idee, porre domande e infine, sostenere, in alcuni casi, le attività di quello specifico centro con piccole donazioni.
explore.org, come spiega il suo fondatore Charles Annenberg Weingarten direttamente sul sito, ha un’anima filantropica. Nasce a scopo educativo e informativo offrendo una vasta gamma di argomenti – dai diritti degli animali alla salute e ai servizi umani, dalla fragilità ambientale all’istruzione e alla spiritualità – trattati attraverso film, documentari, articoli, contributi e anche registrazioni degli attimi più belli (cosiddetti «highlights») catturati dalle webcam per chi li avesse persi in diretta.
«Vogliamo che tu possa innamorarti ancora del mondo» dice ancora il fondatore nel video di presentazione, sottolineando la missione di questo portale, ovvero quella di documentare e condividere la vita della natura per farla conoscere, per riconnettere l’uomo ad essa, ma soprattutto per imparare a rispettarla. «Bisogna avere cura di ciò che si ama» avverte. Tutto questo è reso possibile grazie alla collaborazione con centri di ricerca, associazioni, organizzazioni che si battono ogni giorno per la tutela e la salvaguardia della fauna e di cui explore.org si fa sostenitore.
Un regalo per tutte le anime viaggiatrici in attesa di tornare a vedere il mondo con i propri occhi.
Fonte: vanityfair.it – Laura Scafati
Stradine colorate e tradizioni millenarie: Hoi An, nel Vietnam centrale, è una città romantica dove a farla da padrone non sono soltanto le tonalità del rosso tanto care agli orientali, ma milioni di lanterne che illuminano ogni angolo.
Amata dai turisti e dagli irriducibili del selfie da pubblicare sui social, regala un’atmosfera magica soprattutto al tramonto quando questi piccoli “fari” dalle mille gradazioni cromatiche sembrano prendere luce e vita.
Passeggiando per il suo centro storico
Il cuore di Hoi An sembra essere fermo nel tempo ed è rimasto intatto nei secoli, idealmente abbracciato da palazzi storici nelle tonalità pastello. E poi c’è il fiume Thu Bon e i balconi ricoperti di fiori, appena lontano dalle spiagge dove osservare le sfumature del cielo durante il giorno. Da queste parti le influenze a tavola e nello stile sono notevoli, perché nel tempo vi hanno abitato cinesi, giapponesi, olandesi francesi e portoghesi. La sua parte vecchia è perfetta per l’inizio di un tour, attraverso le vecchie mura che sono Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Il consiglio è quello di perdersi alla ricerca di angoli nascosti e remoti e poi spostarsi verso le boutique tipiche, i piccoli negozi, i ristoranti e i caffè.
Imperdibile la sua cucina
Da provare ad Hoi An, ovviamente, anche i piatti tipici magari fermandosi nei ristorantini lungo il fiume, attendendo il crepuscolo per osservare le tinte delle lanterne. E poi magari potrebbe essere una buona idea anche quella di iscriversi a uno dei tanti corsi di pietanze vietnamite che si tengono da queste parti.
Informazioni utili
Dopo aver acquistato il ticket di ingresso si può accedere in città e visitare quattro tra i monumenti principali, inseriti in una apposita lista. Il ricavato consente che vengano curati e preservati, in un luogo che presta grande attenzione all’ambiente tanto da aver chiuso al traffico la sua zona più antica. Il momento migliore per andare va da fine gennaio a fine agosto quando il clima è più secco e caldo. Negli altri mesi tende a piovere parecchio.
Da vedere
Il simbolo di Hoi An è il Ponte Coperto Giapponese del 1700, che suddivideva la parte cinese da quella giapponese. E poi ci sono le lanterne di seta in giro per la città e la possibilità di salire a bordo di una barca tradizionale e organizzare un giro lungo il corso d’acqua locale. C’è, ancora, il piccolo tempio dedicato a Quan Cong, un generale cinese molto stimato per la sua bontà d’animo. Senza dimenticare le tante sartorie artigianali presenti dove farsi confezionare qualche capo, in quella che è la capitale della seta e della sartoria.
Fonte: ilmessaggero.it
BLANCANEAUX LODGE, DOVE LA VITA LUSSUOSA
INCONTRA GLI OCCHI DEI GIAGUARI
In America Centrale, dove le giungle tropicali sono ricche e il Golfo del Messico porta di sera brezze rinfrescanti, la famiglia Coppola, guidata dal famoso regista Francis Ford Coppola, ha creato uno splendido resort volta all’esplorazione della penisola dello Yucatan, chiamato Blancaneaux Lodge. Situato nelle foreste pluviali occidentali della nazione del Belize, lungo il Privassion Creek nell’angolo nord-ovest della Mountain Pine Ridge Forest Reserve, il Blancaneaux è un perfetto alloggio di lusso nascosto nel centro della natura incontaminata del Belize. Decorato con arredi sontuosi, accentuati da temi guatemaltechi, Blancaneaux si estende lungo le rocce e le piscine naturali di Privassion Creek, dove la cascata locale mormora e calma la mente e il corpo.
UN’INCREDIBILE ISOLA DI LUSSO IN UNA GIUNGLA PROFONDA E VERDE
Blancaneaux include 20 cabine e spa, una piscina a sfioro, due ristoranti e il Jaguar Bar. Molte cabine godono delle proprie piscine private e l’intera proprietà offre un’eccellente collezione di servizi di lusso come accappatoi, Wi-Fi e telescopi personali per osservare le stelle. Blancaneaux si estende lungo il lato settentrionale della Privassion, guarda a sud verso una vegetazione tropicale unica dove tramonti e albe offrono uno straordinario spettacolo. Una pista di atterraggio comodamente situata a breve distanza a nord del torrente consente di viaggiare tranquillamente con regolarità dentro e fuori la tenuta, insieme alla strada Chiquibul che conduce a nord di Belize City, la capitale della nazione del Belize. Il Chiquibul corre anche a sud, in profondità nell’esotica foresta pluviale di Mountain Pine Ridge, fino alle antiche rovine Maya di Caracol, punto di partenza per tour organizzati. La tenuta ospita anche una scuderia di splendidi cavalli da sella e ci sono diversi sentieri tracciati che possono essere percorsi in vari momenti della giornata.
La giungla del Belize ospita giaguari, tapiri e altri animali particolari. In Belize, si vive nel bel mezzo di un raro mondo tropicale. A circa dieci miglia a ovest si trova il confine con il Guatemala, dove si trovano le incredibili rovine Maya di Xunantunich. Un’escursione giornaliera consente di scoprire le imponenti piramidi Maya, il complesso di Tikal, importante testimonianza della civiltà Maya. Le giungle circostanti sono piene di animali, piante rare ed esotiche.
All’imbrunire, ci si può rilassare in uno dei due ristoranti del resort, il ristorante Montagna o il ristorante Guatemaltecqua a bordo piscina. Un cocktail a tarda notte nel giardino biologico della tenuta potrebbe essere il modo perfetto per concludere la giornata. I servizi spa e le lussuose sistemazioni del Blancaneaux promettono un totale relax e riposo e al risveglio ci si sentirà pronti per godere di una nuova avventura nella foresta pluviale del Belize.
Fonte: xoprivate.com
Una straordinaria spedizione subacquea sta rivelando importanti dettagli sui “faraoni neri” del Sudan e dell’Egitto
Se si pensa alle piramidi viene in mente l’Egitto. Le grandi piramidi di Giza in Egitto sono ben note, ma il Paese del Sudan ha in realtà più piramidi. Vanta molte note sepolture reali nelle piramidi di Nuri, un’antica necropoli tentacolare. Copre oltre centosettanta acri in cui il fiume Nilo si snoda non lontano dal confine egiziano a nord e il Mar Rosso a est.
Sfortunatamente, con le tombe così vicine al Nilo, l’innalzamento della falda freatica ha causato l’inondazione di alcune di esse, che sono diventate quasi impossibili da visitare. Grazie in parte all’assistenza finanziaria della National Geographic Society, la dott.ssa Pearce Paul Creasman, archeologa specializzata in egittologia e storia sudanese all’Università dell’Arizona, è stata in grado di entrare nella tomba sottomarina di Kush King Nastasen, uno dei “faraoni neri”.
Quando Creasman e il suo compagno di immersioni, Kristin Romey del National Geographic hanno nuotato nella prima camera, questa era completamente sott’acqua. Il tetto crollato della seconda camera ha dato un po’ di spazio in più prima che attraversassero una piccola porta verso la terza camera che contiene il sarcofago di pietra sommerso.
I due sub hanno trovato pezzi di foglia d’oro, probabilmente provenienti da un manufatto che non è sopravvissuto all’acqua e da uno shabti, una piccola figurina che sarebbe diventata un servitore del re nell’aldilà. Ora che sanno cosa aspettarsi e hanno risolto i problemi nel loro sistema di approvvigionamento di ossigeno, cercheranno di recuperare il sarcofago nella prossima stagione.
Creasman ha detto alla BBC che la squadra “ha scavato il più lontano possibile” lungo una scala di 65 gradini che ha portato all’ingresso della tomba. Ma poi aggiunge “siamo scesi di circa 40 gradini fino a quando non abbiamo raggiunto la falda freatica e sapevamo che non saremmo stati in grado di andare oltre senza abbassare la testa”. Ha descritto ciò che ha trovato “notevole”.
“Ci sono tre camere, con questi splendidi soffitti a volta, delle dimensioni di un piccolo autobus, vai in una camera nella successiva, è buio pesto, ti rendi conto di essere in una tomba quando le luci del flash non sono accese. E inizia a rivelare i segreti che si nascondono dentro”.
Nastasen, il faraone di cui cercavano la tomba, era un re minore del popolo Kush che viveva nel deserto della Nubia, ora Sudan. Secondo l’Enciclopedia della Storia Antica, la città nubiana di Kerma, fondata intorno al 2400 a.C., era un popolare centro per gli scambi commerciali in un’area piena di abbondanti risorse naturali tra cui ebano, incenso, avorio e soprattutto oro, ambito dal potente governo egizio. Intorno al 1500 a.C., il faraone Thutmose I mandò i suoi eserciti a sud e distrusse Kerma, ponendo fine alla libertà dei Kush. Thutmose III fondò la città di Napata, incorporando i Kush in Egitto e ampliando il potere egizio.
Nel corso dei successivi cinquecento anni, il governo egizio divenne gradualmente più debole fino a quando i Kush furono in grado di conquistare l’Egitto durante il regno del re Piye tra il 743 e il 712 a.C. I Nubiani divennero quindi la venticinquesima dinastia di faraoni in Egitto, ora conosciuta come “I faraoni neri”, e iniziarono a costruire piramidi e ad usare geroglifici egizi. Questo era un periodo stabile per l’Egitto secondo Livio. Gli Assiri alla fine cacciarono i Nubiani dall’Egitto e, verso il 300 a.C., i Nubiani spostarono la loro capitale più a sud verso Meroë, che divenne presto una città ricca e potente.
Nel 1913, l’egittologo di Harvard, il dottor George Reisner, iniziò a scavare a Kerma e ad identificare tutte le piramidi reali. Fu in grado di scrivere la storia dei Kush tra cui settanta generazioni di monarchi e le date in cui governarono decifrando gli scritti sulle tombe. Tuttavia per lungo tempo egittologi e archeologi non hanno prestato attenzione alla storia nubiana e non potevano immaginare che i “faraoni neri” avrebbero potuto costruire piramidi. Anche i reperti riportati da Reisner furono in gran parte messi da parte e dimenticati.
Le tombe e la loro affascinante storia sono state ulteriormente messe in evidenza dalla notizia della scoperta della tomba di Tutankhamon e dal fatto che l’acqua stava salendo, e qualsiasi progetto archeologico dovette affrontare l’impossibilità di fare scavi tradizionali. Secondo National Geographic, Creasman oltre ad essere un egittologo e anche un archeologo subacqueo.
Dopo la sua visita nel 2018, ha iniziato a pianificare come esplorare ciò che era stato fino a quel momento irraggiungibile non potendo contare sulla tecnologia di oggi. Sebbene il compito di scavare nelle camere funerarie reali sia scoraggiante, Creasman ritiene che possa essere fatto; questo è il piano per il 2020. Dice: “È un punto straordinario nella storia che pochi conoscono. È una storia che merita di essere raccontata. “
Fonte: thevintagenews.com – Ian Harvey
La dimora eterna degli antichi Egizi
La necropoli di Tebe è un complesso funerario molto vasto, che comprende numerose aree di sepoltura risalenti al Nuovo Regno. A differenza dei periodi precedenti, quando i monumenti funerari erano importanti strutture a piramide, a partire dalla XVIII dinastia i sovrani decisero di scavare in profondità le tombe ai piedi della Montagna Sacra, la cui sommità richiama la forma piramidale, nel tentativo di sottrarle ai saccheggiatori.
La più importante è la Valle dei Re, dove sono state rinvenute 65 tombe reali. Tutti i siti sepolcrali furono depredati, tranne quello del faraone Tutankhamon, trovato inviolato dal famoso archeologo Howard Carter nel 1922. Era sfuggito al saccheggio, perché posizionato al di sotto della tomba di Ramses VI. Nonostante si trattasse di un sovrano giovane, che regnò per soli 10 anni, i reperti giunti a noi sono sorprendenti e lasciano immaginare la maestosità dei corredi funerari, che accompagnavano i faraoni nei loro viaggi verso l’oltretomba. Il faraone-donna Hatshepsut fece costruire il suo straordinario tempio funerario a ridosso della parete rocciosa di Deir el-Bahari, vicino alla Valle dei Re.
Nelle vicinanze si trova la Valle delle Regine, dedicata alle spose reali e ai principi, che ospita la meravigliosa tomba di Nefertari, amatissima moglie del grande Ramses II.
Tra le altre necropoli, ci sono le Tombe dei Nobili, dove furono sepolti anche funzionari e figure diversificate, tra cui operai, legati ai sovrani o che si prendevano cura della loro necropoli.
La tomba era la casa eterna del faraone e rivestiva un’elevata importanza soprattutto per il suo contenuto.
Al fine di proteggere l’anima del defunto e accompagnarla durante l’insidioso viaggio verso l’ambito paradiso di Osiride, dio e giudice supremo del Regno dei Morti, le pareti delle camere funerarie erano fittamente inscritte con dipinti e geroglifici relativi a rituali religiosi e a testi sacri tratti dal Libro dei Morti. Un ricco corredo funerario veniva posto all’interno della tomba insieme al prezioso sarcofago, contenente il corpo mummificato del faraone.
Foto: Alessandra Fiorillo