È buio!

Un leggero brusio avvolge il tempio del grande faraone Ramses II. L’aria è frizzante e satura di emozione, quella che precede un grande evento, carica di un’aspettativa fuori dall’ordinario. Personalità illustri e gente comune sono consapevoli di godere del privilegio di assistere ad un fenomeno che risale a più di 3200 anni fa, quando raffinati astronomi ed ingegneri Egizi, progettarono un colossale monumento volto a creare un legame indissolubile tra la scienza e le tradizioni tante care al loro sovrano.

Attendono tutti l’alba!

Quasi per magia, la distesa blu del lago Nasser, nutrito dal maestoso Nilo, prende colore. Timidamente il sole si alza dall’orizzonte e irradia ogni goccia d’acqua che, riconoscente, brilla verso il cielo.

I raggi raggiungono il tempio, che svela, fiero, i suoi imponenti lineamenti.
Avviene ogni mattina, ma oggi è un giorno speciale. Ricorre la data della nascita di Ramses II.

Il sole sa come onorare il più grande faraone di tutti i tempi!

Il tempio è perfettamente allineato con la stella incandescente e improvvisamente accade lo straordinario. La luce si leva dalle acque e punta alla porta di ingresso, incastonata tra gigantesche sculture, penetrando nell’oscurità. Avanza, scortata lateralmente dalle statue del sovrano, raffigurato con i tratti di Osiride, dio e giudice supremo del Regno dei Morti, e mentre procede, prende vigore.

Il suo obiettivo è il santuario, scavato nel cuore della roccia.

Si trova al cospetto di quattro divinità: Ramses II divinizzato, Amon-Ra, il dio del sole e padre degli dei, Ra-Horakhty, il dio Horus-falco con il disco solare e Ptah, il dio delle tenebre.

Non esita! Illumina il volto della statua di Ramses II, conferendogli energia vitale e, successivamente, si concede alle altre due, poste ai lati, lasciando nell’oscurità Ptah.
Dopo alcuni minuti, si ritira, seguendo l’inesorabile e perenne movimento universale, e le divinità vengono nuovamente inghiottite dalle tenebre.

Liberato da un incantesimo, il cuore di ognuno ricomincia a pulsare, conscio di essere stato complice nel celebrare la magnificenza del sovrano e nel rispettare l’ingegno di uomini, che con grande impegno e duro lavoro, hanno reso eterna la civiltà Egizia…

Il Miracolo del Sole avviene due volte l’anno e anche la seconda data non è certo casuale. Si tratta del giorno dell’incoronazione di Ramses II.

Per far fronte all’innalzamento delle acque del Nilo, a seguito della costruzione della Grande diga di Aswan, i templi di Abu Simbel furono trasferiti in un sito più idoneo, rispettando le caratteristiche originarie, posticipando di un solo giorno le due date, colme di significato, in cui il santuario è allineato con il sole e il faraone divinizzato si unisce simbolicamente alle altre due divinità.
Attualmente il 22 febbraio e il 22 ottobre.

Entrare, oggi, nello stesso santuario, dove Ramses II in persona si recava, con solennità, ad omaggiare il Pantheon a cui era devoto, è un’emozione molto intensa.

Scolpiti nella roccia, i due templi di Abu Simbel sono consegnati all’eternità rendendo immortale un grande uomo entrato nella leggenda ancora in vita!

Foto: Alessandra Fiorillo

Dubai, la torre progettata da Santiago Calatrava sarà la più alta del mondo

Novità per quanto riguarda la classifica degli edifici più alti del pianeta. Dopo un decennio dominato dal Burj Khalifa, nel 2020 il nuovo record andrà alla Dubai Creek Tower, un grattacielo che sarà alto più di un chilometro.

Situata a Dubai, questa torre alta 1.345 metri è stata progettata dall’architetto Santiago Calatrava e costruita da Emaar Properties. I lavori di costruzione sono iniziati nel 2016 e il progetto dovrebbe diventare realtà nei prossimi mesi, in tempo per l’Expo mondiale che verrà ospitato in autunno da Dubai.

Situato a soli 8 chilometri dal Burj Khalifa e nel cuore del Dubai Creek, uno sviluppo urbano di 6 km2 di lunghezza, il grattacielo ha da tempo superato quello che è stato il più alto del mondo dal 2010, con oltre 500 metri di differenza.

L’architetto spagnolo è stato ispirato dalla forma naturale del giglio e dalla forma di un minareto, una caratteristica architettonica distintiva nella cultura islamica. Oltre che per il design, l’edificio si distingue per essere moderno e sostenibile.

Come spiegato dalla società di costruzioni locale sul suo sito web, “questa struttura che sfida la gravità diventerà la nuova icona globale del 21° secolo e aumenterà la posizione della città come metropoli leader del mondo in futuro”.

L’edificio avrà aree di ristoro, punti panoramici con vista a 360° e un hotel boutique, mentre il complesso del Dubai Creek Harbour avrà 200.000 case, quasi un milione di m2 dedicati alla vendita al dettaglio, un’area riservata a 450 specie animali e 700.000 m2 destinato a parchi e spazi aperti.

Fonte: idealista.it

IL CASTELLO DI MONTEZUMA IN ARIZONA

21 Feb 2020 In: Stati Uniti

A 27 metri dal fondovalle c’è un’antica dimora che fu messa sotto la protezione del governo degli Stati Uniti da Teddy Roosevelt

Grazie a Theodore Roosevelt, il Congresso degli Stati Uniti approvò l’Antiquities Act del 1906, che conferiva all’ufficio del presidente il potere di creare monumenti nazionali. Sebbene tale abilità sia cambiata dalla legge nel corso del tempo, Teddy assunse l’incarico e raccolse i primi monumenti nello stesso anno, incluso il Castello di Montezuma a Camp Verde, in Arizona.

Questa dimora rupestre è straordinariamente intatta per una struttura antica di quasi mille anni e il sito di Montezuma rivela un errore risalente alla prima archeologia del sito: non fu costruito dagli Aztechi, ma dagli indigeni Sinagua, il popolo precolombiano che visse nella valle verde dell’Arizona centrale.

Come un antico condominio, la struttura è composta da cinque piani e 20 stanze, costruite in una grotta naturale nella parete rocciosa di calcare quasi verticale. Sorgendo a 27 metri dal fondovalle, era possibile accedervi solo tramite scale che, quando allontanate, fornivano sicurezza alla tribù da qualsiasi intruso, sia uomini che animali.

C’è stato un tempo in cui ai visitatori fu permesso di entrare nel sito, ma il calcare è morbido e migliaia di piedi calpestanti sono distruttivi, quindi dopo pochi anni dal suo status di monumento nazionale, per preservarlo, il pubblico fu tenuto fuori. Anche visto dal basso è un sito straordinario.

Il monumento è aperto ogni giorno dalle 8.00 alle 17.00 e il prezzo dell’ingresso è di $10 per persona, con il quale si accede sia al monumento nazionale del Castello di Montezuma che a quello del Tuzigoot.

Fonte: www.atlasobscura.com

INDIA: IL FESTIVAL DI HOLI

20 Feb 2020 In: India

Il Festival di Holi – lo spirito colorato di Holi a Mathura e Vrindavan

Ecco 5 motivi per recarsi nelle città dell’India del Nord di Mathura e Vrindavan per la celebrazione di Holi di quest’anno:

1). Lathmar a Barsana & Nandgaon – Nel quartiere di Mathura Barsana e nell’adiacente Nandgaon, Holi è celebrato da sempre. Secondo le leggende, la tradizione ebbe inizio quando Lord Krishna si recò nel vicino villaggio di Barsana per colorare il suo amato Radha e altri gopis. In questo giorno, le donne dei villaggi picchiarono leggermente e giocosamente con dei bastoni gli uomini che usano degli scudi per proteggersi e la pratica rimase nel tempo. Date: 4 marzo 2020, Lathmar Holi a Barsana – 5 marzo 2020, Lathmar Holi a Nandgaon

2). Flower Holi al tempio Banke Bihari di Vrindavan – L’holi “fiorito” è il momento culminante delle celebrazioni Holi a Vrindavan. In una breve cerimonia di 20 minuti, i fiori sono mostrati ai devoti al tempio Banke-Bihari. È forse l’unica celebrazione Holi dove non sono usati colori né asciutti né bagnati. I preti del tempio vi prendono parte e il modo migliore per godere della bellezza della cerimonia è arrivare presto ai cancelli per assicurarsi una posizione ottimale. Data: 6 marzo 2020, Banke Bihari Temple, Vrindavan

3). Holi per una causa sociale – Le vedove in India indossavano abiti bianchi non usando mai più indumenti colorati sino a quando nel 2013 le vedove di Pagal Baba Widow Ashram hanno rotto questa convenzione. Ora, le vedove partecipano alla festa di Holi al tempio di Gopinath ogni anno, si spalmano colori l’una sui volti delle altre e danzano sulle note delle musiche tradizionali di Holi. Molti studiosi di sanscrito e sacerdoti si uniscono ai festeggiamenti a sottolineare ulteriormente l’inserimento e l’accettazione di queste donne nella società. Data: 8 marzo 2020, Vrindavan

4). Holika Dahan, Mathura – Il giorno di Holi, ci si può dirigere a Mathura per partecipare alla colorata processione di Holi dove sono presenti una decina di veicoli decorati con fiori e bambini travestiti da Radha-Krishna che ballano sulla parte aperta posteriore dei camion. La processione colorata e festosa culmina con Holika Dahan quando al calar della sera viene bruciata l’effigie che simboleggia il male. Data: 9 marzo 2020, Mathura

5). Holi colorato a Mathura – Il giorno di Holi, il più grande festival si svolge a Mathura al Tempio di Dwarkadheesh. Già alle 7 di mattina ci si può dirigere al Vishram Ghat per vedere il processo di preparazione dei sacerdoti del Bhang, a base di leggera marijuana estratta dalle foglie della pianta di canapa indiana. Più tardi, nel corso della giornata, è possibile partecipare alle coloratissime celebrazioni di Holi all’interno del complesso del tempio e per le strade piene di gente che si sparge addosso i colori tra canti, balli, allegria e dolci tradizionali. Data: 10 marzo 2020, Mathura

Fonte: Yatra Exotic Routes

ARTE E PAESAGGIO. I GIARDINI ZEN DI KYOTO

20 Feb 2020 In: Giappone

LA NATURA DIVENTA SCENARIO IDEALE PER PRATICARE LA MEDITAZIONE E LA CONTEMPLAZIONE, SULLO SFONDO DEI GIARDINI ZEN DI KYOTO

Il giardino zen rappresenta la fusione tra arte del giardino giapponese e filosofia zen. Secondo il credo scintoista, tutti i componenti dell’ambiente naturale (alberi, rocce, animali, persone, fiumi, montagne) possiedono un’anima immortale. Il giardino giapponese, quindi, non è solo un luogo di riposo oppure ornamentale, ma un ambiente sacro che consente all’uomo di entrare in contatto con la spiritualità e di raggiungere la pace interiore. Perciò la maggiore parte dei giardini zen sono realizzati presso templi e monasteri, luoghi di meditazione grazie anche alla totale assenza di rumori artificiali.

Il giardino nella filosofia zen crea un vero e proprio paesaggio, dove ogni elemento è l’espressione di un concetto, un equilibrio di pieni e di vuoti. Raggiungere lo zen significa capire di vivere collegati a ogni più piccolo elemento dell’universo. A emergere è l’importanza di sentirsi tutt’uno con la natura, poiché è grazie a essa se tutto esiste. Ci sono vari stili di giardino giapponese, ciascuno con un significato. Legato all’arte del giardinaggio tradizionale è il Karesansui, detto anche “giardino secco” perché non ha vegetazione ed è formato essenzialmente da pietre e sabbia bianca. Uno dei maggiori esempi è il Ryōan-ji a Kyoto, città che offre l’opportunità di visitare alcuni fra i più spettacolari giardini zen al mondo (tra cui il Padiglione d’Oro e Padiglione d’Argento).

ELEMENTI E CONTEMPLAZIONE

Alcuni elementi densi di valore estetico e simbolico aiutano la contemplazione: pietra e sabbia, acqua, piante. Le rocce rappresentano solidità e stabilità, in contrapposizione al vuoto. Ricordano le forme di montagne e isole; una sola roccia in mezzo al giardino rappresenta il sacro Monte Fuji. La sabbia è polvere di granito bianco, capace di illuminare le aree vicine. Rappresenta l’acqua e le sue increspature. L’acqua è vita, fluidità e purezza: ascoltare il suo scorrere armonioso libera la mente. La vegetazione deve integrarsi con gli altri elementi. Si usano piante maschili (slanciate e dalle forme spigolose); piante femminili (basse e con forme tondeggianti); piante sempreverdi e piante a foglia caduca (l’acero è la pianta più amata in Giappone e include centinaia di specie e varietà). Tra le fioriture si trovano camelie, rododendri, cornus kousa e azalee. Infine, le lanterne in pietra sono un tipico elemento del giardino giapponese. Derivano dalla tradizione della cerimonia del tè, simboleggiano il punto di arrivo e il giardino interiore.

Fonte: artribune.com – Claudia Zanfi

Nel mondo sono ancora moltissime le isole inesplorate o poco raggiunte dal turismo di massa. Luoghi dalla straordinaria bellezza, spesso incontaminata e rimasta quasi del tutto intatta.
Ecco qui, allora, 10 paradisi tutti da scoprire

Pitcairn, lo Stato meno popolato al mondo

Nella parte più remota (o quasi) dell’Oceano Pacifico si trovano le Pitcairn Islands, dove ancora oggi vivono i discendenti degli ammutinati del Bounty. Si tratta di un arcipelago, di quattro isole vulcaniche, di cui solo una è abitata, Pitcairn, sede anche della Capitale, che dà anche il nome all’arcipelago. Una curiosità: questo è lo Stato meno popolato al mondo.

Canton, un piccolo Eden nell’arcipelago della Fenice

Nell’arcipelago della Fenice, nell’Oceano Pacifico, si trova un posto incantevole dove il mare è azzurro e cristallino. Si tratta di Canton, un piccolo atollo appartenente alla Repubblica di Kiribati. Qui vicino si possono ammirare anche due barriere coralline sommerse. Un vero spettacolo naturale.

Nelle Svalbard c’è Hopen, un paradiso tra ghiacci e vento

Hopen è una piccola isola remota che si trova nell’estremo sud-est delle Svalbard, in Norvegia. Un piccolo paradiso, parte di una Riserva naturale, con onde che si infrangono spesso pesantemente sulla costa, spesso ghiacciata. Uno spettacolo della natura, ideale per chi cerca luoghi totalmente inesplorati.

Cocos Island, un paradiso naturale

A 7 km a nord di La Digue, si trovano le Isole Cocos, un piccolo gruppo di isole che spaziano nell’arcipelago delle Seychelles. Completamente disabitato, Cocos è un paradiso incontaminato dove vivono specie rare di uccelli e farfalle. Il mare, cristallino e puro, rende questo posto una vera meraviglia della natura.

Rapa Iti, una bellezza tra mare e monti

Rapa Iti è la più grande e remota isola abitata delle Isole Bass nella Polinesia francese. Qui il paesaggio alterna mari e monti: le montagne circondano la baia e la proteggono, come un piccolo gioiello, da sguardi indiscreti. Non lontano da qui, inoltre, si trovano i piccoli isolotti di Martotiri, completamente disabitati.

Bouvet, un’isola vulcanica sub-antartica

Un’isola vulcanica sub-antartica, nel sud dell’oceano Atlantico, quasi interamente ricoperta dal ghiaccio. Ecco come si presenta Bouvet, nella parte meridionale del Capo di Buona Speranza, in Sudafrica. Di dipendenza norvegese, è considerata una delle isole più remote del pianeta.

Tristan Da Cunha, amata per il paesaggio e i suoi francobolli rari

Tra Africa e Sud America, nell’Atlantico meridionale, si trova l’Isola di Tristan da Cunha che dà il nome a tutto l’arcipelago costituito da altre quattro isole, le tre di Nightingale e quella di Gough. Gli abitanti qui sono meno di 300 e nessuno ama le nuove tecnologie. La loro fonte di reddito principale? La vendita di francobolli rari con il timbro dell’isola: i più richiesti dai collezionisti.

Un’isola di ghiaccio, ecco l’isola Pietro I

Completamente di ghiaccio, tranne d’estate dove si può scoprire un po’ di suolo, l’Isola Pietro I è un vulcano estinto che prende il nome dall’omonimo Zar russo. Rivendicata dalla Norvegia, non è eccessivamente distante dalla costa dell’Antartico occidentale.

Raivavae, la Bora Bora d’Australia

Nota come la “Bora Bora” delle isole d’Austrialia, Raivavae è una piccola isola montuosa che si trova a circa 700 km da Tahiti e a Sud del Tropico del Capricorno. Qui si trovano ancora antichi templi polinesiani tutti da scoprire, immersi in una vera meraviglia che si perde tra piccoli isolotti corallini dalle bellissime spiagge bianche.

Napuka, un piccolo arcipelago corallino

Nell’arcipelago delle Tuamotu, nella Polinesia francese, si trova Napuka. Si tratta di un piccolo atollo corallino anche conosciuto, insieme a Tepoto, come ‘Isola della Delusione’. Questo non per la bellezza dei luoghi, che fanno perdere il fiato, ma solo perché l’esploratore che le scoprì si trovò di fronte a nativi ostili. Un soprannome che è rimasto nel tempo ma che non gli rende affatto giustizia.

Fonte: siviaggia.it

AL REVĪVŌ WELLNESS RESORT IL TUO CORPO E LA TUA MENTE SARANNO INCREDIBILMENTE COCCOLATI

I resort benessere REVĪVŌ sono hotel benessere sostenibili che offrono ritiri completi e personalizzati. Con l’obiettivo di “insegnare a vivere nel presente”, ogni struttura offre una serie di programmi benessere ispirati alle antiche tradizioni curative locali, progettati per mantenere o migliorare specifiche condizioni di salute emotiva, fisica e mentale.

Con servizi, terapisti e servizi eccezionali, i ritiri benessere REVĪVŌ offrono un’esperienza di trasformazione per gli ospiti, insegnando l’autocoscienza e l’allenamento mentale per aiutarli a raggiungere la trasformazione mentale.

Immerso tra le ventose colline di Nusa Dua nel sud di Bali, il REVĪVŌ  Wellness Resort, Nusa Dua, Bali si estende su 3 ettari di foresta di alberi di teak, circondato dalla fitta foresta pluviale tropicale e dall’oceano Indiano. La lussureggiante enclave di REVĪVŌ  è composta da lussuose suite e ville in stile balinese, un ristorante gourmet nutriente, un bar e una sala biliardo, nonché strutture per il fitness e spa di prima classe.

Ogni ritiro può essere fatto su misura per soddisfare le esigenze di benessere di un ospite in termini di nutrizione, trattamenti e allenamenti olistici e il team di esperti di coach, nutrizionisti e terapisti di REVĪVŌ progetta un piano personalizzato efficace per ogni ospite in base alle sue esigenze e ai test del DNA. Questi esperti si concentrano sulla fornitura di abilità e pratiche che gli ospiti possono implementare o continuare quando tornano a casa, dai rituali per la cura della pelle alle pratiche di meditazione agli strumenti fisici. I programmi possono essere selezionati sulla base di obiettivi individuali come equilibrio emotivo, disintossicazione, perdita di peso organico e sane abitudini del sonno, con opzioni aggiuntive per alleviare lo stress e le future mamme.

Fonte: xoprivate.com

Sai già di cosa si tratta, ma sai dove andare a provare le migliori tapas in Spagna? Ecco una lista di alcune delle zone più rinomate in importanti destinazioni turistiche. Normalmente le tapas vengono servite gratuitamente insieme alla bevanda, ma non è sempre così. Talvolta viene richiesto un piccolo supplemento e può capitare che le tapas più elaborate siano inserite nel menu.

QUARTIERE DI LA LATINA A MADRID

Se desideri scoprire uno dei quartieri più tradizionali della città, questo è il posto giusto. Vie come Cava Baja, Cava Alta o Humilladeros ospitano alcune taverne storiche e, soprattutto nel fine settimana, pullulano di persone alla ricerca delle tapas migliori. Le più tipiche a Madrid sono le “patatas bravas”, la tortilla di patate, le crocchette, le olive, i formaggi stagionati e le frattaglie. Normalmente si servono gratuitamente in accompagnamento alla bevanda ordinata. Una curiosità che potrebbe interessarti: se attraversi questo quartiere, sappi che fu il primo nucleo urbano di Madrid in epoca medievale.

PASSEIG DE SANT JOAN A BARCELLONA

Si tratta della via di tendenza in città. Sebbene l’offerta gastronomica di tapas a Barcellona tipicamente si sia sempre concentrata più nel quartiere Poble Sec o, di recente, a Sant Antoni, attualmente è Passeig de Sant Joan il luogo in cui degustare le novità e godersi un’esperienza a base di piccoli stuzzichini. Sai quali sono le tapas più popolari? Da quelle più tradizionali (molto spesso rivisitate in chiave moderna) come l’insalata russa, “las bombas” (patate in pastella ripiene di carne) e i piccoli panini, fino all’alta cucina trasformatasi in tapa, in omaggio all’opera del cuoco Ferran Adrià in città.

PARTE VECCHIA DI DONOSTIA – SAN SEBASTIÁN

Lezione 1 per provare le tapas aSan Sebastián: qui si chiamano “pintxos”.

Lezione 2: visitare la Parte Vecchia della città e percorrere strade come Pescadería, 31 de agosto o Fermín Calbeltón.

Lezione 3: goditi l’esperienza il più possibile, dalla classica “gilda” (oliva, peperoncino e acciuga) alle proposte più creative.

In questa zona, andrai sul sicuro con qualsiasi degustazione di “pintxos”, ma come punto di partenza puoi prendere in considerazione i locali consigliati dall’ente del turismo di Donostia – San Sebastián nella sua guida: La Viña, La Cepa, Casa Gandarias, Dakara Bi, A Fuego Negro, Bartolo, Zumeltzegi e Haizea.

CENTRO STORICO DI BILBAO

Rimaniamo nei Paesi Baschi, la terra del “pintxo”. Anche se si possono assaporare ovunque a Bilbao, è tradizione recarsi nel Centro Storico e percorrere strade come Somerda, del Perro o la Plaza Nueva per degustare i “pintxos” a base di “rabas”, cozze, funghi, baccalà o tortilla. In qualsiasi caso, qui le opzioni sono praticamente infinite. Alcuni dei suggerimenti dell’Ente del Turismo dei Paesi Baschi sono Víctor Montes, Sorginzulo o Gure Toki (nella Plaza Nueva); Santa María, Gatz e Irrintzi (calle Santa María); Berton Sasibil (calle Jardines) o Askao Berri (calle Askao).

GRANADA, UNA CITTÀ PERFETTA PER LE TAPAS

La città dell’Alhambra è per molti una delle migliori per degustare le tapas ed è frequente che vengano servite gratuitamente con la bevanda ordinata. Le più tipiche sono la frittura di pesce, gli spiedini di carne, i “montaditos” (paninetti) farciti di salumi e le “patatas bravas” o con “alioli”. Potrai assaporarle praticamente ovunque a Granada ma, nei luoghi di maggiore interesse turistico, ti consigliamo i dintorni della Cattedrale, in vie come Navas, San Mateo o Elvira e le piazze Nueva e Campillo.

CENTRO STORICO DI SIVIGLIA

Le tapas sono uno dei simboli del capoluogo dell’Andalusia: puoi verificarlo di persona facendo piccole pause mentre visiti i principali monumenti. Cosa ordinare? Sul sito dell’Ente del Turismo di Siviglia troverai una guida completa dei locali per ciascuna delle tapas più popolari. Tra quelle imprescindibili, ricordiamo: il gazpacho e le “papas aliñás” (consigliate soprattutto in estate), le uova alla “flamenca” (così chiamate per il colore e per essere tipiche di Siviglia), la coda di toro (uno stufato tipico dell’Andalusia), la “carrillada” (a base di maiale iberico), la “pringá” (se vuoi provarla seguendo la tradizione, prendi il pane e dimentica le posate) e il pesce marinato.

QUARTIERE DI RUZAFA A VALENCIA

È una delle zone più trendy e più popolari della città per degustare le tapas spostandosi di bar in bar. I locali abbondano tra le vie Burriana, Ciscar e Cádiz. A Valencia sono tipiche le tapas di mare come la seppia alla piastra, le acciughe marinate nell’aceto, le crocchette di baccalà, i molluschi come le telline e le “clochinas” o il pesce sotto sale. Naturalmente, sono molto popolari le piccole porzioni di piatti a base di riso, come la paella. In questa zona, troverai anche vari ristoranti che propongono cucina d’autore.

QUARTIERE HÚMEDO DI LEÓN

Sai che León è la città della Spagna con più bar per abitante? Probabilmente ciò si deve alla fama delle sue tapas e il quartiere Húmedo è l’area principale dove degustarle. Inoltre, in molti locali le servono gratuitamente insieme alla bevanda scelta. Si trova vicino ai monumenti più noti della città, come la Cattedrale o Casa Botines (progettata da Gaudí). Potrai optare per i locali classici indicati sul sito web dell’ente del turismo di León: il bar Miche con i suoi “calamares con gabardina”, il bar La Bicha con la sua “morcilla” e il bar Latino con i suoi calamari (tutti in plaza de San Martín); il bar El Flechazo con le sue patate con paprika (calle Platerías), la locanda La Patata (calle Misericordia), il bar La Alpargata con i suoi “cojonudos” e “orejas” (calle Carnicerías) e il bar El Garbanzo Negro con le sue “Tigres” (Cuesta de los Castañones).

VALLADOLID, UN ITINERARIO DI TAPAS NEL SUO CENTRO STORICO

È possibile percorrere comodamente a piedi il centro storico della città facendo un itinerario che ti permetterà di assaporare le deliziose tapas di Valladolid. La maggior parte dei ristoranti si trova nei dintorni della Cattedrale, tra le piazze Portugalete, Universidad, San Martín e Martí y Monsó. L’importanza delle tapas nella città è tale che ogni mese di novembre ospita il Concorso Nazionale di Tapas, nel corso del quale diversi cuochi con stella Michelin scelgono la miglior tapa della Spagna. Qui puoi provare alcune di quelle insignite di questo premio, come il “Lechazo Taj Mahal” (da Don Bacalao, plaza de las Brigidas), il “Bocata de calamares envuelto en obulato” e il “Tigretostón” (da Los Zagales, calle Pasión).

PLAZA MAYOR DI SALAMANCA E DINTORNI

Una città monumentale e universitaria… è quasi impossibile che le tapas non siano una tradizione. Abbondano i locali nei quali le tapas accompagnano gratuitamente la bevanda acquistata o con un supplemento. Puoi provarle nelle taverne di plaza Mayor e dintorni, in strade come calle Prior, Consuelo, Concejo o in plaza del Peso. Potrai assaporare ogni sorta di tapa, ma tra le più caratteristiche troverai il popolare “hornazo” (una torta salata normalmente ripiena di prosciutto, salame e lombo di maiale), le “morcilla” (sanguinacci) e i “chorizo” (salami speziati con paprica), gli spiedini di carne, le “cazuelitas de callos”, il muso del maiale fritto, la “chanfaina” (stufato di carne e frattaglie di agnello), “las palomas” (insalata russa su una base croccante di farina di grano)…

CALLE LAUREL DI LOGROÑO

Una strada e più di 60 bar o ristoranti dove provare le squisitezze gastronomiche di La Rioja. In calle Laurel troverai un bar ogni due metri e potrai degustare prodotti tipici come asparagi, borragine o peperoni e ricette elaborate come le patate alla riojana o le costolette arrostite su tralci di vite Naturalmente, potrai sempre accostare le tue tapas al famoso vino di La Rioja. Oltre che su questa strada, a Logroño vi sono bar con tapas nelle vicine Albornoz, San Agustín e Travesía de Laurel.

QUARTIERE DEL TUBO DI SARAGOZZA

Si tratta di piccole strade strette costellate di bar conosciuti per le deliziose tapas a base di crocchette, acciughe, molliche fritte (“migas”), funghi, “empanadillas”… Una semplice occhiata ai vari banconi ti aiuterà a decidere. La zona intorno alle vie Estébanes e Libertad è molto frequentata nelle ore dei pasti e, in particolare, dopo il tramonto. Inoltre, dato che è frequente andare di locale in locale per degustare un’ampia selezione di tapas, nel quartiere si respira sempre una bella atmosfera. A Saragozza, esiste un’altra zona molto popolare per le tapas: La Magdalena (nei pressi di calle Estudios), dove tutti i giovedì i bar offrono promozioni per degustarle.

Fonte: Ufficio Spagnolo del Turismo spain.info

EDFU: IL TEMPIO DI HORUS

19 Feb 2020 In: Egitto

Incastonata sulla riva occidentale del Nilo, la piccola città di Edfu ospita il tempio dedicato ad Horus, il dio Falco

Sulle rovine di un tempio più antico, durante la dinastia tolemaica, numerosi sovrani, dal 237 al 57 a.C., contribuirono alla ricostruzione del complesso templare, uno dei più grandi e meglio conservati in tutto il Paese.

Il tempio di Edfu presenta uno stile architettonico a cannocchiale: dall’ingresso, attraverso il maestoso pilone, gli spazi sono progressivamente più piccoli e meno illuminati fino al santuario, totalmente buio.
Qui si rappresenta il percorso simbolico della luce spirituale che si attenua fino a scomparire nel Naos, il sacrario del dio, un tabernacolo in granito che custodiva la statua di Horus.

È la luce divina che illumina l’oscurità

Si riteneva che nel sito dove sorge il tempio, il divino Horus, figlio di Iside e Osiride, avesse affrontato il malvagio zio Seth per vendicare la morte del padre.

Quando in Egitto si insediarono i regnanti tolemaici, al fine di essere ben accetti e all’altezza dei loro predecessori, diedero massima attenzione alle aspettative religiose del popolo, costruendo nuovi templi dedicati alle divinità egizie, nel rispetto dei canoni classici faraonici.

Davanti all’ingresso dell’imponente pilone, sul quale viene raffigurato il sovrano impegnato a sconfiggere i suoi nemici, due splendide statue del dio Falco custodiscono il tempio. Colonne stupendamente decorate con capitelli floreali e pareti ricche di iscrizioni e bassorilievi, svelano dettagli rilevanti sulla religione e sulla mitologia del tempo. A guardia della prima sala ipostila, si trova un’altra grande statua del dio Falco in granito grigio con la doppia corona dell’Alto e del Basso Egitto sul capo. Sorprendente è la stanza adibita a laboratorio chimico: sulla parete sono incise le ricette contenenti gli ingredienti necessari per produrre profumi e incensi, all’epoca riservate soltanto ai sacerdoti.

Foto: Alessandra Fiorillo

PRIMA DI AFFRONTARE LA MOSTRA AL MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI BOLOGNA, RIPOSATEVI, RIFOCILLATEVI E ANNULLATE TUTTI GLI APPUNTAMENTI DELLA GIORNATA. SIETE AVVERTITI: L’IMPEGNO, MENTALE E FISICO SARÀ TUTT’ALTRO CHE TRASCURABILE. MA NON POTETE PERDERE L’OCCASIONE DI “VIAGGIARE CON I RASNA” (COSÌ GLI ETRUSCHI CHIAMAVANO SÉ STESSI) SU E GIÙ PER LA PENISOLA, E SARETE PIENAMENTE RICOMPENSATI DELLE VOSTRE FATICHE.

Dopo un liminale cenno alla riscoperta degli Etruschi da parte dei viaggiatori di Settecento e Ottocento, il percorso attraversa cronologicamente le diverse fasi della loro civiltà. Significativi reperti di forte impatto visivo ne illustrano i caratteri unificanti, come lingua, religione, costumi funerari: tra essi il corredo della tomba delle hydriai del Pittore di Meidias (da Populonia), la Tabula Cortonensis e le lamine auree di Pyrgi (in riproduzione), nonché una selezione di importanti ritratti in bronzo e terracotta. Ci si potrebbe già sentire appagati qui, dopo aver percorso l’evoluzione degli Etruschi dagli albori della civiltà Villanoviana fino al loro declino nella morsa di Galli e Romani. Ma poi si svolta a destra e si scopre che quanto percorso finora è solo la sezione introduttiva e che alla dimensione cronologica segue quella spaziale, il vero e proprio “viaggio nelle terre dei Rasna”.

LE TERRE DEI RASNA

Mentre quiete vedute archeologiche e suggestivi paesaggi scorrono alti sulle pareti, il visitatore si addentra nei meandri di continue sorprese (circa 1400 i pezzi riuniti!), scandite in sezioni dedicate alle aree dell’Etruria propria, padana e campana, ciascuna rappresentata dalle più importanti compagini cittadine. Ogni contesto è indagato secondo un taglio diverso, in accordo con i temi più rappresentativi di ogni singola città e con il supporto di un efficace apparato cartografico e illustrativo. I santuari, l’urbanistica, i commerci, la ritualità funeraria, fino ad aspetti meno visibili ma di non minore importanza, come lo sfruttamento delle risorse naturali o le reti dell’ospitalità aristocratica. Emergono sia i caratteri unificanti della civiltà etrusca, già incontrati nella sezione introduttiva, sia le differenze legate alle peculiarità fisico-morfologiche dei territori di insediamento, alle vicende storiche e allo scambio culturale e commerciale con altre popolazioni, vicine e lontane: ci si imbatte in specifici culti o particolari produzioni, come le prolifiche matres capuane, i segnacoli funerari pisani in marmo delle Apuane o le fibule d’ambra sontuosamente rigonfie di Verucchio. Rappresentati, in qualità di prestatori, anche i principali musei italiani e le loro raccolte etrusche, che siano specchio del passato del territorio o collezioni storiche decontestualizzate.

Alla collezione del museo bolognese rimanda l’ultima sezione, dedicata all’Etruria padana. Particolare rilievo è dato specialmente a Bologna (Felsina) stessa, da cui provengono (Necropoli di via Belle Arti, tomba 142) rare suppellettili di legno (elegantissimi i tavolini dalle gambe sagomate), e a Kainua (Marzabotto): il lungo viaggio per città termina nell’unica città di cui siano ricostruibili nel dettaglio i riti di fondazione etrusco ritu e gran parte della planimetria, che emerge nitida dai prati nei suoi intrecci regolari di plateiai e stenopoi.

Qualora lo stanco (e soddisfatto) visitatore disponga ancora di qualche energia, farebbe bene a completare la visita con le sale etrusche del Museo Civico Archeologico, da poco riaperte e preservate nella loro suggestiva organizzazione ottocentesca.

UNA MOSTRA EFFICACE

Un’esposizione onnicomprensiva e dalle molteplici prospettive, che intesse approccio enciclopedico e monografico e che dà conto dell’unità culturale e della diversificazione storica e territoriale delle singole realtà, con uno speciale focus sulle città e sul territorio. I curatori, coadiuvati da un coro di studiosi, hanno affrontato un’impresa titanica e rischiosa, ma l’impegno e la passione profusi li hanno ripagati con un risultato straordinario, per il quale il pubblico, specialistico e non, non può che essere grato. Gli oltre due anni di studi, ricerche e progetti sono distillati nel ponderoso catalogo, che offre una ricca sintesi dei principali snodi e problemi dell’etruscologia, resoconti delle più recenti scoperte e nuove prospettive su contesti noti e reperti resuscitati per l’occasione dal limbo dei depositi.

Nome evento:  Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna
dal 06/12/2019 al 24/05/2020
Spazio espositivo: MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO
Via Dell’archiginnasio 2 – Bologna – Emilia-Romagna

Fonte: artribune.com ‒ Chiara Ballestrazzi


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