Una nuova ricerca firmata Nasa è riuscita a datare il cratere Yarrabubba in Australia: 2 miliardi e 229 milioni di anni, dunque più antico del Vredefort Dome sudafricano, fino a oggi detentore del primato. L’impatto potrebbe anche essere legato alla fine dell’era glaciale del paleo-proterozoico.
Nell’entroterra australiano, nella parte occidentale dell’isola, si trova lo Yarrabubba crater, un grande cratere da impatto ampio quasi 70 chilometri. A prima vista non è semplice riconoscerlo: i suoi bordi sono completamente erosi dagli agenti atmosferici e i movimenti tettonici hanno modificato la conformazione geologica della regione facendo scomparire la classica depressione circolare. La presenza di un cratere però si può rilevare anche in altri modi meno diretti, come dalla presenza di alcuni tipi di fratture nelle rocce o di impatti, rocce modificate o alterate dall’energia dell’impatto meteorico.
I ricercatori dell’università australiana di Curtin e del Johnson Space Center della Nasa hanno sfruttato proprio rocce di questo tipo per ottenere i dettagli sull’epoca dell’impatto. In particolare, si sono concentrati sui minerali di zircone e monazite che sono stati fusi dall’impatto e in seguito sono ricristallizzati alla base del cratere. Analizzando questi minerali, e in particolare i loro contenuti di uranio e piombo, è stato possibile risalire all’età in cui ha avuto luogo tale processo di ricristallizzazione.
La ricerca, pubblicata su Nature Communications, stabilisce che il cratere di Yarrabubba debba essere a tutti gli effetti riconosciuto come il più antico sulla Terra, almeno tra quelli conosciuti. Avrebbe infatti 2 miliardi e 229 milioni di anni – dunque sarebbe circa 200 milioni di anni più anziano del cratere sudafricano di Vrederfort, che fino a oggi deteneva il record.
C’è di più. I grandi impatti meteorici possono avere un ruolo importante nella storia climatica del nostro pianeta e dei suoi effetti sulla biosfera, come nel famoso caso dell’estinzione di massa del Cretaceo-Paleocene (quella dei dinosauri), legata probabilmente all’impatto che ha generato il cratere di Chicxulub, in Messico, e alle sue conseguenze sul clima. L’età del cratere di Yarrabubba coincide con la fine delle glaciazioni paleo-proterozoiche, avvenuta attorno a 2 miliardi e 225 milioni di anni fa.
I ricercatori hanno simulato quali sarebbero stati gli effetti dell’impatto di Yarrabubba se il sito fosse stato ricoperto di ghiacci, cosa possibile durante un’era glaciale. Il risultato è che, se i ghiacci australiani fossero stati spessi tra i 2 e i 5 chilometri, un impatto in grado di dare origine a un cratere di 70 chilometri potrebbe aver generato l’emissione in atmosfera di oltre 200mila miliardi di chili di vapore acqueo. Parte di quest’acqua sarebbe subito riprecipitata al suolo senza influire in alcun modo sul clima globale. Un’altra parte potrebbe invece essere rimasta a lungo in atmosfera ed aver contribuito a un riscaldamento del clima per effetto serra, e quindi alla fine dell’era glaciale.
Fonte: media.inaf.it – Luca Nardi
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