Tentare di carpire il segreto della felicità di questo popolo, sarà uno degli esercizi più stimolanti che vi troverete a compiere.
Mentre la maggior parte delle più belle destinazioni del mondo s’interroga su come proteggersi dal turismo di massa, altre, silenziosamente, hanno risposto al problema con scelte politiche rigorose. Come il Bhutan, un pezzo di mondo arrivato nel terzo millennio conservando foreste immense, tradizioni secolari e stili di vita che altrove appartengono a un remoto passato. Per visitare questo eden, i viaggiatori sono obbligati a partecipare a un tour organizzato.
La macchina del tempo entra in azione nel momento in cui si atterra all’aeroporto internazionale del Bhutan che, non essendo collegato direttamente con l’Europa, obbliga (quasi) tutti a transitare da Kathmandu (dove arriviamo con un volo Turkish Airlines). Partiti dal nuovo, enorme, futuristico hub di Istanbul, eccoci nel minuscolo aeroporto di Paro, uno dei più pericolosi (meglio dire…emozionanti) dell’aviazione civile, dove la hall degli arrivi pare quasi un antico monastero. E di futurismo non vi è traccia. Il salto non potrebbe essere più grande. Siamo in un’altra epoca, un altro mondo. Siamo in Bhutan.
Thimpu
Un’auto, un autista e una guida locale che staranno con voi in ogni fase del vostro viaggio. Questo è ciò che vi attende all’uscita dell’aeroporto. In questo Paese, infatti, i viaggiatori indipendenti non sono ammessi, pertanto occorre affidarsi a un tour operator per ottenere il visto, definire l’itinerario (prima di partire) e pagare la cospicua cifra giornaliera minima prevista dal Governo locale. Un territorio ricoperto per il 65% da foreste, abitato da animali strani (avete mai visto un takin?) e un popolo che veste abiti tradizionali.
Raggiungiamo Thimpu, la capitale più anomala che abbiamo mai visitato. Le case sono basse (proibito costruire edifici con più di sei piani), illuminazione pubblica essenziale, niente insegne pubblicitarie di multinazionali a disturbare il panorama. Dimenticatevi le carte di credito e la musica pop, non ci sono semafori perché qui il traffico scorre lento, sia sulle strade che su internet. Insomma, ciò che chiamiamo modernità, qui non è di casa. Chi cerca una fuga dal nostro pazzo mondo, è nel posto giusto.
Ci troviamo al mercato del fine settimana. Compriamo incenso, frutta fresca, ridiamo e scherziamo con i commercianti, quasi tutti provenienti dai villaggi circostanti. Sulla colline sorge l’imponente statua del Buddha Dordenma, alta 50 metri, e da qui ci godiamo la superba vista sulla valle. Trascorriamo la giornata mescolandoci tra la folla in preghiera nel grande chorten cittadino (National Memorial Chorten) e visitando il Trashi Chhoe dzong. Gli dzong sono tra gli elementi più caratteristici del paesaggio: bianchi e colossali monasteri-fortezza, elementi centrali nel panorama e nella storia del Bhutan. Ma come sarà la vita notturna, da queste parti? Finalmente senza l’onnipresente guida che ci accompagna, entriamo al Mojo Park, un locale dove si ascolta musica dal vivo e parliamo liberamente con la gente del posto. Sono tutti loquaci, aperti, pacati ma sorridenti. Scopriamo che fumano, anche se nel Paese la vendita di sigarette è proibita, che la birra migliore si chiama Red Panda, che parlano tutti un ottimo inglese e che hanno tanta voglia di raccontarsi. E che dobbiamo imparare a liberarci più spesso dalla presenza della nostra guida.
Punakha
Imbocchiamo la National Highway verso est, arrampicandoci fino a quota 3.140 metri. Siamo al passo di Dochu La, dove sorgono ben 108 chorten. Lo sguardo abbraccia sconfinate foreste di pini e, all’orizzonte, le cime più alte dell’Himalaya orientale. Restiamo in contemplazione. Questo sarebbe un posto in cui fermarsi al lungo.
A Punakha, ancora una volta è uno dzong a dominare la scena. Considerato il più bello del Paese, sorge alla confluenza di due fiumi. Ne approfittiamo per fare rafting sul fiume Mo Chu e ammirarlo da questa insolita prospettiva. Il rafting è un’attività che, da qualche anno, si è diffusa anche da queste parti, dove i fiumi impetuosi non mancano. Scendiamo in compagnia dei ragazzi di Lotus Rafting Services e abbiamo l’incredibile fortuna di avvistare il raro airone panciabianca adagiato su un piccolo isolotto. Non a caso, il Bhutan è un paradiso per il birdwatching.
Per niente rari, invece, sono i falli che compaiono un po’ ovunque in questa zona, disegnati sulle case, nelle vetrine dei negozi. Per quanto incredibile possa sembrare, simboleggiano un santo molto amato, tale Lama Drupka Kunley, noto come il “Folle Divino” e passato alla storia per le sue leggendarie imprese sessuali. Si pensa che questo simbolo tenga lontane le forze del male e, guarda caso, aiuti la fertilità.
Ci concediamo il privilegio di una sosta al Como Uma Punakha, un sontuoso boutique hotel, in posizione dominante sulla valle. Legno grezzo, ampie finestre, design minimale e un raffinato ristorante gourmet, sono i suoi principali punti di forza. Strutture di questo livello non sono rare in Bhutan. Tuttavia, la tariffa giornaliera fissa che ogni viaggiatore dovrà pagare per entrare nel Paese, include l’ospitalità in strutture confortevoli e accoglienti ma molto semplici, spesso riscaldate con tradizionali stufe a legna e dotate di un proprio ristorante. Gli hotel di categoria elevata comportano il pagamento di un sostanzioso supplemento sulla cifra giornaliera. I viaggiatori più esigenti dovranno quindi consultarsi con il proprio tour operator prima di partire per selezionare alberghi e ristoranti in linea con le proprie aspettative.
Un tsechu nel Bumthang
Il viaggio verso la regione del Bumthang ci porta ancora più indietro nel tempo, se possibile. Ci attendono circa sei ore di auto per percorrere i 200 km di strada, per lunghi tratti non ancora asfaltata. Ma da queste parti il tempo non scorre in modo lineare pertanto il tragitto, che a volte sembra infinito, procede in una dimensione quasi onirica complice il cielo che cambia repentinamente: ora è azzurro, ora la nebbia nasconde le montagne mentre percorriamo una strada senza guardrail che ad ogni curva si affaccia sulla ripida scarpata.
Superiamo il passo di Pele La (3420 m) circondati dai Monti Neri ed entriamo in una regione magica, misteriosa, tra valli incantate che hanno segnato la storia di personaggi mitici come Guru Limpoche e Pema Lingpa. Il villaggio di Jakar, ci accoglie con un sorprendente profumo di marijuana che qui cresce spontaneamente (ma che nessuno utilizza, pare). Siamo arrivati giusto in tempo per l’inizio dello tsechu, l’evento che rende indimenticabile qualsiasi viaggio in questo Paese. Sono feste intrise di una profonda religiosità buddhista che si svolgono nei cortili degli dzong dove, tra danze in costumi variopinti, maschere e musiche tradizionali, tutta la popolazione si raccoglie per partecipare accoratamente a questi meravigliosi eventi annuali. Fate coincidere il vostro itinerario con uno tsechu e ammirate lo spettacolo di questo popolo in festa.
La Valle di Phobjikha
Riprendiamo la strada in direzione ovest e superiamo il passo di Lowa La (3360 m). Dopo sei ore al volante, qualche yak sulla carreggiata e una tappa al maestoso dzong di Trongsa, raggiungiamo il villaggio di Gangtey, a quota 2.900 m. Siamo nella valle di Phobjikha, famosa perché qui svernano le gru dal collo nero, una specie in serio pericolo d’estinzione molto amata dagli abitanti. Ma questa valle è popolata anche da volpi, cervi, cinghiali selvatici, capre di montagna. Il modo migliore per godersi flora e fauna, in questa come in altre valli del Paese, è programmare un trekking. Ampie zone del paese sono infatti collegate solo da sentieri, spesso vie commerciali cadute in disuso, percorribili a piedi o a cavallo. Tutto ciò che occorre fare è programmare per tempo il percorso più adatto alle vostre capacità.
A sera, facciamo amicizia con Karma, il cuoco del nostro albergo che, con la luce della luna, ci accompagna in un bar del villaggio. È una precaria capanna di legno, metà mini market e metà bettola, luci al neon e pavimento di terra, stufa a legna, gatti accovacciati e giochi da tavolo. Quattro whisky e un succo di litchi costano due euro ma ascoltare la storia di Karma non ha prezzo: ha vent’anni, arriva dalle (ancor più) remote regioni orientali del Paese, sfoggia un vistoso orecchino (cosa rarissima), lavora sette giorni su sette ed è felice. Saranno il buddhismo, i cieli tersi, un governo che parla di “felicità interna lorda” anziché di “prodotto interno lordo”. Sarà lo scarso impatto (per ora) della comunità globale su questo piccolo mondo antico, sarà la popolazione poco numerosa. Tante ipotesi, tante domande. Tentare di carpire il segreto della felicità di questo popolo, sarà uno degli esercizi più stimolanti che vi troverete a compiere.
Paro. Nella Tana della Tigre
Ancora sette ore di strada per tornare al punto di partenza. La città di Paro, situata a ovest della capitale, non solo ospita l’unico aeroporto internazionale ma anche il monastero più famoso del Bhutan. Si chiama Takshang Goemba e significa “monastero della tana della tigre”. È un luogo tanto leggendario quanto fotogenico, riconosciuto come sito sacro e per questa ragione meta di pellegrinaggio da tutto il paese. Arroccato su uno sperone di roccia che si affaccia su un dirupo di novecento metri, si raggiunge con una piacevole escursione di un paio d’ore a piedi (o a cavallo, fino al punto di ristoro). Il percorso tra i pini dell’Himalaya, i panorami e la vista di cui si gode una volta raggiunto il monastero, a quota 3.000, rendono questo itinerario un’esperienza estremamente suggestiva. Per questo vale la pena considerare di raggiungere la tana della tigre con un trekking di due giorni, pernottando in tenda. Il primo giorno si arriva a quota 3.900 m, accanto al Bumdra Lhakhang, da cui questo trekking prende il nome. Il secondo giorno si raggiunge il monastero in perfetta solitudine, dopo aver vissuto 48 ore indimenticabili nel cuore della foresta. Tenuto conto dell’altitudine, il nostro consiglio è di visitare la tana della tigre alla fine del vostro viaggio, quando il corpo si sarà acclimatato e sarete in grado di godervi al meglio questa escursione.
L’immobilità di questi luoghi regala pace anche al viaggiatore più inquieto. Del resto, in un pianeta sovrappopolato, rumoroso e inquinato, trovarsi in posti così vergini e selvaggi è l’ideale per riconciliarsi con la vita.
Il Bhutan è un piccolo eden. Che Buddha ce lo conservi.
Fonte: lonelyplanetitalia.it – Angelo Pittro
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