Due statue gemelle e un tempio
I Colossi di Memnon e il Tempio di Milioni di Anni

Circa 3400 anni fa il faraone Amenhotep III, della XVIII dinastia, fece edificare uno dei più sontuosi e grandi templi d’Egitto. Si trattava di un complesso funerario concepito come centro di culto delle divinità, dove il faraone, ancora in vita, veniva reputato la reincarnazione in terra del dio.

Nella necropoli di Tebe, di fronte all’attuale Luxor, lungo le rive del Nilo, due colossi gemelli, composti da blocchi di pietra ricca di quarzo, raffiguranti il faraone, fiancheggiavano l’ingresso del tempio. Ancora oggi, le statue lo rappresentano seduto su un trono, con le mani sulle ginocchia e lo sguardo indirizzato al sole che sorge. Scolpite alla base, due figure minori: la madre Mutemuia e la moglie Tiy, “grande sposa reale”, regina intelligente e saggia. Sui pannelli laterali è raffigurato Hapy, dio simbolico della fecondità della terra e del rinnovamento della vita grazie alle inondazioni del Nilo.

In un periodo di pace e prosperità, il regno di Amenhotep III fu caratterizzato da una raffinatezza artistica senza precedenti e il tempio ne era la sua sublime esternazione.

La scelta del sito, posto dentro una piana alluvionale, si rivelò ben presto infelice. La pietra calcarea utilizzata per la sua realizzazione non sopravvisse a lungo all’erosione causata dalle esondazioni periodiche del fiume e il sacro centro di venerazione si distrusse dalle fondamenta, riducendosi a rovine saccheggiate nel tempo.

Nonostante fossero state costruite nel 1350 a.C., le statue rimasero intatte fino al 27 a.C., quando un terremoto danneggiò il colosso posto a nord, causandone una frattura nella parte inferiore e il crollo di un frammento dalla sua sommità.

Non solo la statua sopravvisse al sisma,
ma acquisì la straordinaria dote del canto!

Non cantava sempre… la possente melodia era apprezzabile soltanto all’alba quando i primi raggi del sole timidamente apparivano all’orizzonte. Un suono ultraterreno che evocava misteriose presenze divine.

Illustri turisti e studiosi dell’epoca, provenienti dal mondo greco-romano, attraversavano il deserto per assistere all’insolito evento. Gli storici greci credettero che le statue rappresentassero l’eroe mitologico Memnone, figlio mortale di Eos e di Titone, principe di Troia. Memnone fu ucciso da Achille nell’Iliade. Ritennero che il canto sovrannaturale, che si propagava dalle viscere della statua, fosse il saluto che Memnone riservava ogni mattina a sua madre, dea dell’Aurora. La scienza moderna attribuisce il fenomeno all’evaporazione della rugiada intrappolata nelle fessure interne della statua. Grazie al calore dei primi raggi mattutini, si generavano delle vibrazioni che, echeggiando attraverso l’aria pura del deserto, ne evocavano una melodia.

Nel 199 d.C. il colosso fu messo a tacere

Non essendo riuscito a sentire il famoso canto, l’imperatore Settimio Severo, nel tentativo di omaggiare l’oracolo, ne ordinò il restauro. Oltre a cambiare l’aspetto esteriore della statua, che non appariva più gemella rispetto all’altra, la riparazione delle crepe modificò l’acustica interna, rubando per sempre quella voce tanto famosa nel mondo antico.

Due colossi che da millenni alimentano leggende e misteri

Amenhotep III British Museum
Amenhotep III e Sobek